Uberto Pallastrelli di Celleri sa che il tempo del ritratto è finito, e che la storia non passa più attraverso la rappresentazione di quelli che la fanno. Il ritratto del potere esprime maschere, finzioni. Lo fa intendere l'esperienza di Morandi, in Italia, chiuso in una stanza negli anni del Fascismo; e, all'estero, il prevalere delle avanguardie che esprimono pensieri piuttosto che esprimere volti. Qualcuno ripudia i potenti e predilige gli ultimi, come Soutine.
Pallastrelli sa che la via è stretta e che i potenti e le classi dominanti possono resistere soltanto nella sfera privata, così come dal romanzo storico la letteratura si è trasferita nello spazio interiore di Alla ricerca del tempo perduto. Quella dimensione è possibile descrivere, e Pallastrelli, che aveva imparato il mestiere a Piacenza all'Istituto Gazzola, alla scuola di due ottimi pittori come Pacifico Sidoli e Antonio Ghittoni, sa di non poter contare più sui committenti che si affermano nel mondo e che non vogliono che nulla rimanga del loro passaggio; ed entra allora in una dimensione privata, che è abitata generalmente dal mondo femminile, indifferente a restare e a lasciare memoria di sé. La vanità non è nel proporsi, ma nella naturale ed elegante grazia delle donne i cui nomi corrispondono a quelli di alcune delle principali famiglie italiane.
Pallastrelli sa che la sua dimensione non potrà essere che quella intimistica, domestica, in cui fare sfavillare maestà, alterigia, classe, distanza di classe degli ultimi «divini mondani» che daranno il nome, in bilico tra vacuità e ironia, a un libro di Ottiero Ottieri. Nessun giudizio, nessuna lettura storica in quelle esistenze felici e privilegiate. Soltanto complicità, e nessuna concessione al vero, altro che nella declinazione del verosimile. Somiglianti, vibranti i suoi ritratti, ma senza il dubbio, il tormento, l'inquietudine che agitano quelle vite, altrimenti volte a una automatica gioia di vivere, nel privilegio e nella distanza. Mondani di un altro mondo, non di questo, fatti non per resistere ma per esistere un solo istante: quello in cui la loro giovinezza e la loro bellezza entrano nel segno e nel colore di Pallastrelli che non intende eternarli, ma far rivivere quell'istante più corto della loro vita.
L'affinità con Boldini è apparente, perché Boldini crede più all'arte che alla vita, mentre Pallastrelli crede più alla vita che all'arte. Pittore di un istante, in cui tutto è precario: la giovinezza come il potere. Graziella Gallinari Daina de' Valsecchi è una giovane donna bella ed elegante con la giacca di velluto amaranto e la collana di perle, ma è così nell'istante in cui Pallastrelli la vede. Poi non lo sarà più, e la pittura ce lo dice, non la illude e non ci illude. Pallastrelli aveva tutti gli strumenti e la consapevolezza per essere un maestro. Ma ha preferito essere un alter ego di Luxardo e Ghergo, fotografi del mondo (e della conseguente mondanità) che nasce e muore nella cronaca. E non vuole né può proiettarsi in una dimensione di storia o di epoca. Toccherà a noi, come abbiamo fatto con i grandi fotografi, riesumare i dipinti di Pallastrelli per ritrovare un tempo perduto.
Ci impressiona vedere, soldato, Gianni Agnelli, giovane e fiero, mentre guarda un oltre che non c'è. Nel suo futuro sarà un altro, e alla storia consegnerà l'immagine di un uomo elegante e maturo, con i capelli bianchi, al di là e oltre la giovinezza che non è stato per lui il momento migliore, ma un passaggio, un transito verso il se stesso che deve ancora essere. Pallastrelli dipinge una dimensione embrionale e fuggitiva, destinata alla morte come ogni momento della nostra vita. Pittore di momenti, di vita che si agita, non pittore, come i grandi ritrattisti, per l'eternità.
Pallastrelli sa che i suoi personaggi, anche i più importanti, non entreranno nella storia. E ce lo dice con una pittura veloce, fuggitiva, impressionistica. Ma l'anima non è un'impressione, e Pallastrelli non è un pittore dell'anima.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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