Il pamphlet L’altra faccia di un’icona post-moderna

Giulio Andreotti come icona post moderna, come simbolo della politica italiana tra la Prima e la Seconda Repubblica. Giulio Andreotti come maestro di stile politico, amato od odiato che sia non importa, a cui attribuire qualunque motto di spirito boteriano o machiavellico. Giulio Andreotti come argomento sempre buono per far conversazione da salotto o per inventare qualsiasi tipo di battuta, oppure come perfetta incarnazione del male politico da parodiare in un film come Il Divo. Tutto questo è compendiato in un librino del giornalista Francesco Specchia appena uscito per i tipi dell’editore Aliberti: Giulio Andreotti. Parola di Giulio (pagg. 108, euro 15). Nel pamphlet troverete l’elenco di tutti i luoghi comuni su Andreotti e l’Andreottismo, molte delle vignette più cattive contro di lui, molte sue frasi e molte frasi attribuitegli. Nessuna presunzione quindi di raccontare il «vero» Andreotti quanto piuttosto una breve e densa disamina di un’immagine collettiva stratificatasi sulle spalle del senatore a vita. Un’immagine che il Senatore ha saputo talora accettare, tal altra accentuare, tal altra ancora sopportare, conscio del suo ruolo. Come ha detto nella biografia che gli ha dedicato Massimo Franco: «Non mi piacciono le biografie da vivo. Però capisco che ci si occupi della mia vita. In fondo, in un certo senso sono postumo di me stesso».

Ma non si tratta solo di «postumità», almeno secondo Specchia Giulio Andreotti è ancora: «La doppia anima di una nazione che ancor oggi, per paradosso, lo vede come punto di riferimento sussurrato...». Un «nonno» istituzionale a cui si attribuiscono colpe e meriti ma da cui non si può prescindere per capire la storia d’Italia, sia che si tratti di studiarla da soli, sia che si tratti di farsela spiegare (da Lui).

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