Cesare G. Romana
da Sanremo
Nicky Nicolai racconta lamore eventuale, ed insperato, duna bella di notte, la voce svetta calda e vellutata, ranuncoli e ginestre infiorano il palco, acconciato dal premio Oscar Dante Ferretti con gusto molto americano, e tuttavia raffinato. Parte così, con un tema «forte», ma diluito nel romanticismo un po mieloso che a Sanremo saddice, il 56° festival della canzone, primo dellèra Panariello. E a proposito di fiori, una sorta di par condicio botanica sinsinua nella kermesse: margherite e anemoni saranno di scena stasera, poi toccherà a mimose e garofani, quindi ecco i papaveri e infine, sabato, la rosa, «regina dei fiori, sinonimo di bellezza ed eleganza», informa un pensoso comunicato.
Botanica a parte, la cronaca allinea il «giallo» rientrato di Anna Oxa, la cui canzone, Processo a me stessa, sforava di quarantadue secondi la durata consentita, che è di tre minuti e mezzo. Che fare? «Se i suoi colleghi protesteranno, dovremo toglierle laudio», ipotizzava angosciato Gian Marco Mazzi, direttore musicale della kermesse. «Ma no, lasciamola cantare», hanno concesso cantanti e discografici: anche perché, su diciotto big in gara, almeno sedici eccedevano la misura. E così eccola, la Oxa, mai così sexy e ispirata, con la sua canzone lontana anni luce dagli standard sanremesi, un gruppo albanese a farle da coro, quattro minuti e passa dalta teatralità (o, per gli ignavi, di nobile tedio).
Ma ad aprire la serata è, ovviamente, Giorgio Panariello: in non splendida forma, ammettiamolo. Lui, certo, ce la mette tutta. Ironizza su Pupo e sulla par condicio, rende omaggio a Baudo, Carrà, Bonolis e al seno scoperto, a un festival di molti anni fa, di Patsy Kensit (e qualcosa di analogo è accaduto ieri a Ilary Blasi: una nemesi?). Poi finge di non riconoscere John Travolta ospite donore, intreccia gag estemporanee, e un po insulse, con la stessa Ilary, in rosso fiammante, e con Victoria Cabello, travestita da abat jour, ma fatica a trovare la battuta vincente. Tranne quando definisce il festival affidatogli, nientemeno, «un bellissimo sogno, una bellissima fiaba» e almeno qui, suo malgrado, è spiritoso davvero.
Il resto è musica. Protagonista per mancanza dalternative, visto il contesto, in un festival dove da anni le canzoni occupavano il ruolo defilato e casuale dun sottofondo sonoro, messo lì perché gli attori ci parlino sopra. Ecco Dolcenera, uno scricciolo desplosiva energia e di contagiosa passione, Noa e Carlo Fava sobri e ispirati in un brano un po alla De André e un po alla Tenco, di grande efficacia. Ecco Povia scanzonato e sornione. Ecco la nobile classe di Ron e il giovanilismo epidermico dei Sugarfree, Mario Venuti pensoso e asciutto con i suoi Arancia Sonora, Britti e Dirisio a misura di hit parade, eppoi Grignani, Zarrillo e ancora la Tatangelo e i Ragazzi di Scampia, sponsorizzati da Mogol e Gigi DAlessio. Poi è il caso di ricordare la presenza dei Nomadi, recuperati dal festival dopo trentacinque anni, e il vispo temino degli Zero Assoluto. E la veloce parata dei giovani, un minuto a testa in un medley a volo duccello, in coda alla sfilata dei big. A proposito dei quali, i voti provvisori delle giurie hanno piazzato prima tra le donne Dolcenera, seguita nellordine da Tatangelo, Nicolai, Spagna, Bencini e, ultima, Anna Oxa.
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