Panem et Sanremo

Ora però dobbiamo piantarla, dobbiamo saltare le considerazioni su Sanremo specchio degli italiani, saltare le valutazioni su costi, ospiti, scenografie, dobbiamo smettere di dire che parlarne male è comunque fisiologico, che del resto gli ascolti eccetera: perché Sanremo va abolito, punto, va bruciato nella calce viva, è una mummia inutile, qualcosa che le altre televisioni dovrebbero smettere di trattare come un moloch o come qualcosa di ineluttabile.
Sanremo è un circuito culturale e commerciale scollegato col resto del mondo, è ciò che agli occhi degli ospiti stranieri conferma loro, ogni volta, che siamo al livello dello Zambia, anzi di Totò, spaghetti, canottiera, pummarola, lupara sotto il letto: ma non siamo più quella cosa lì, siamo cambiati persino noi, siamo meglio, o comunque abbiamo il diritto o il dovere civile di pensarlo. Sanremo non è vecchio: è morto, lo è come quelle stelle di cui s’intravede la luce di un altro tempo; Sanremo non è un tabernacolo di reliquie: è, come tutta la Rai, l’impianto probatorio che testimonia un mancato cambiamento culturale e strutturale di questo Paese.


Guardatelo pure, Sanremo, se proprio volete; rivivetelo ogni volta come un sapore d’infanzia pagato col canone: ma non osate mai più lamentarvi del mancato ruolo del servizio pubblico. Sanremo si abbatte, non si cambia.

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