Luca Telese
da Roma
Per quanto oggi sia contento, di quella vicenda non ne parla volentieri: «Noi, i figli, contiamo poco: preferirei si discutesse di mio padre...». Eppure alla fine, dopo molte insistenze, accetta di raccontare la sua gioia per le parole del presidente, per quel che considera una risarcimento morale: «Napolitano dimostra di essere uomo di grande equilibrio, un coraggioso, un vero presidente di garanzia». Mauro Leone, figlio dellex presidente della Repubblica, quando esplose lo scandalo che portò il padre a rassegnare le dimissioni con sei mesi di anticipo sul suo mandato aveva 29 anni. Nel libro di Camilla Cederna che fu la punta di diamante di quella campagna (La carriera di un presidente, Feltrinelli, 1978) cera anche un capitolo su di lui, lo definiva O principino. Oggi dice: «Vorrei che questa vicenda servisse a riaffermare un principio che deve valere per tutti e in ogni tempo: non si devono mai permettere campagne diffamatorie, mai cedere alla tentazione di demonizzare gli avversari».
Avvocato Leone, se lo aspettava il discorso di Napolitano a Napoli?
«Assolutamente no, non era annunciato, è stata una sorpresa bellissima in una giornata in cui cera tutta la città, in cui fuori dalla sala dei busti cerano quasi mille persone».
Vuol dire che è stato il miglior coronamento di una bella cerimonia?
«Pensavo che Napolitano avesse queste opinioni, ma non che le rendesse note con un gesto pubblico così clamoroso. Ha avuto coraggio. Sono felice per la memoria di mio padre, che soffrì moltissimo, e anche per mia madre, che fu al suo fianco e che oggi era presente. Sa, fra le nostre famiglie ci sono rapporti... per così dire storici».
In che senso?
«Il padre del presidente, Giovanni, notissimo avvocato antifascista, era collega e amico di Mauro Leone, mio nonno e omonimo, anche lui avvocato di tradizione liberale e antifascista. Insomma, penso che dietro questo gesto ci sia anche questa radice antica».
Ci sono stati altri passi importanti, nella riscrittura della memoria sulla vicenda di suo padre...
«Il più importante furono le pubbliche scuse di Pannella e la Bonino, in occasione dei suoi 90 anni».
Suo padre ne fu contento?
«Ovviamente: da vero liberale cattolico era convinto che le cariche pubbliche si reggessero sul consenso. Non soffrì per le dimissioni, ma solo per la diffamazione, sul piano privato».
Lei cosa pensa trentanni dopo?
«Fu un killeraggio politico. Non so se ci fu un regista della campagna, sicuramente ci fu unutilità politica, si ricordi che in quei giorni nasceva il compromesso storico! Poi ci furono degli... strumenti che agevolarono il killeraggio, come la Cederna e il suo libro».
Che pensa di quella biografia?
«Basta questo: la Cederna fu condannata a pagare un miliardo di lire».
Scrisse anche di lei e di suo fratello. Anche voi vittime del «killeraggio»?
«Quelli erano futili e ridicoli dettagli. Faceva scandalo che mangiassimo fuori porta o partecipassimo alle feste... cose che oggi non prenderebbero nemmeno tre righe su Dagospia!».
Cè altro che non vuole scordare?
«Oh sì. Una componente decisiva della campagna, fu un odioso pregiudizio etnico, antimeridionale».
La «napoletanità» di Leone?
«Sì, mi spiace dirlo, ma ci fu un autentico odio razziale. A mio padre non si perdonavano cose apparentemente insignificanti, come aver cantato in pubblico a una manifestazione di italo-americani. Cera una parte di Paese che non tollerava che al Quirinale ci fosse un uomo del Sud».
Oggi è felice?
«Sì, ma sento anche molta amarezza.
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