Roma - I cristiani oggi non devono aver paura nell’annunciare il Vangelo «sino agli estremi confini del mondo». Lo ha detto ieri Papa Ratzinger ai pellegrini riuniti a Castelgandolfo prima della recita del «Regina Coeli». Benedetto XVI ha parlato delle donne che dopo aver trovato il sepolcro vuoto ed essersi imbattute in Gesù corsero ad annunciare la notizia ai discepoli.
«Anche a noi, oggi, come a queste donne che rimasero accanto a Gesù durante la passione - ha detto il Papa - il risorto ripete di non avere paura nel farci messaggeri dell’annunzio della sua risurrezione. Non ha nulla da temere chi incontra Gesù risuscitato e a lui si affida docilmente. È questo il messaggio che i cristiani sono chiamati a diffondere sino agli estremi confini del mondo». «La fede cristiana - ha spiegato Ratzinger - nasce non dall’accoglienza di una dottrina, ma dall’incontro con una persona, con Cristo morto e risuscitato. Nella nostra esistenza quotidiana, cari amici, tante sono le occasioni per comunicare agli altri questa nostra fede in modo semplice e convinto. Ed è quanto mai urgente che gli uomini e le donne della nostra epoca conoscano e incontrino Gesù e, grazie anche al nostro esempio, si lascino conquistare da lui».
Domenica scorsa, nel messaggio pasquale, pronunciato al termine della messa celebrata alla presenza di oltre centomila fedeli in piazza San Pietro, il Papa aveva riflettuto sul dolore del mondo: «Solo un Dio che ci ama fino a prendere su di sé le nostre ferite e il nostro dolore, soprattutto quello innocente, è degno di fede - ha detto il pontefice -. Quante ferite, quanto dolore nel mondo! Non mancano calamità naturali e tragedie umane che provocano innumerevoli vittime e ingenti danni materiali». «Penso al flagello della fame - aveva aggiunto Benedetto XVI - alle malattie incurabili, al terrorismo e ai sequestri di persona, ai mille volti della violenza - talora giustificata in nome della religione - al disprezzo della vita e alla violazione dei diritti umani, allo sfruttamento della persona». Poi il Papa aveva passato in rassegna le situazioni più preoccupanti del pianeta: «Guardo con apprensione - ha detto - alla condizione in cui si trovano non poche regioni dell’Africa: nel Darfur e nei Paesi vicini permane una catastrofica e purtroppo sottovalutata situazione umanitaria; a Kinshasa, nella Repubblica democratica del Congo, gli scontri e i saccheggi delle scorse settimane fanno temere per il futuro del processo democratico... in Somalia la ripresa dei combattimenti allontana la prospettiva della pace e appesantisce la crisi regionale, specialmente per quanto riguarda gli spostamenti della popolazione e il traffico di armi; una grave crisi attanaglia lo Zimbabwe».
«Di riconciliazione e di pace - aveva aggiunto il Papa - ha bisogno la popolazione di Timor Est, che si appresta a vivere importanti scadenze elettorali. Di pace hanno bisogno anche lo Sri Lanka, dove solo una soluzione negoziata porrà fine al dramma del conflitto che lo insanguina, e l’Afghanistan, segnato da crescente inquietudine e instabilità». Segni «di speranza» Ratzinger ha detto di vedere nel dialogo tra israeliani e palestinesi, ma «nulla di positivo purtroppo viene dall’Irak, insanguinato da continue stragi, mentre fuggono le popolazioni civili; in Libano lo stallo delle istituzioni politiche minaccia il ruolo che il Paese è chiamato a svolgere nell’area mediorientale e ne ipoteca gravemente il futuro. Non posso infine dimenticare le difficoltà che le comunità cristiane affrontano quotidianamente e l’esodo dei cristiani dalla Terra benedetta che è la culla della nostra fede».
All’inizio del messaggio pasquale, il Papa aveva parlato dell’incontro di Gesù risorto con i discepoli affermando che «non fu sogno, né illusione o immaginazione soggettiva quell’incontro. Fu un’esperienza vera, anche se inattesa e proprio per questo particolarmente toccante».
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