Pietro Acquafredda
Non sono così frequenti i casi di direttori dorchestra di gran nome che, di tanto in tanto, discendono dal podio e, a fianco dei musicisti dellorchestra, primus inter pares, si esibiscono in programmi «da camera», suonando il pianoforte o qualche altro strumento che li riporta, con la memoria, agli anni di studio. Chi fa il direttore dorchestra, deve conoscere almeno uno strumento, oltre la composizione. Se ci limitiamo agli ultimi anni, ci vengono in mente i «pianisti» Solti, Sawallisch, Levine e Chung che hanno accompagnato prestigiosi cantanti; nel caso, poi, di Chung che con due sue sorelle formava il «Trio Chung» molto noto, egli si esibiva spesso nella musica cameristica. Quello del direttore che si unisce ai musicisti - solitamente le prime parti della propria orchestra - è un gesto molto gradito e apprezzato, ma anche utilissimo per i professori dorchestra e gratificante. Fa bene alle prime parti dellorchestra «uscire allo scoperto», senza più la «rete di protezione» dellorchestra, e suonare da solisti. Ci sono poi i casi di pianisti e violinisti celebri che a un certo punto della loro carriera, osano anche dirigere, come Ashkenazy e Barenboim con risultati ottimi; o come, nel caso di Accardo, con risultati non convincenti.
Il caso di Antonio Pappano è fuori di ogni norma. Pappano non ha conseguito nessun diploma in nessun Conservatorio del Globo. Il pianoforte, naturalmente, lha studiato, per anni, senza limiti di repertorio, accompagnando cantanti e suonando da solo o con altri musicisti, cosa che continua a fare, con grande piacere; privatamente ha studiato anche la composizione e ha preso appena qualche lezione di direzione dorchestra. Si potrebbe dire che senza la tenacia e la passione per la musica, Pappano non avrebbe acquisito tutta la preparazione che oggi possiede e che di solito si riceve nelle sedi deputate a ciò: Conservatori e Accademie di Musica.
Il concerto cameristico di santa Cecilia, domani, premetterà di riscoprire lantico piacere di «fare musica insieme». Pappano suona a fianco delle prime parti delle famiglie degli archi e dei fiati, in due pezzi del grandissimo repertorio - i Quintetti di Brahms e Mozart - e in una chicca del camerismo novecentesco, quel Trio per oboe, fagotto e pianoforte di Francis Poulenc, lui pianista al fianco di Pollastri (oboe) e Bossone (fagotto).
Il Quintetto di Mozart (K 482) scritto nel 1784, a 28 anni, e considerato dallautore «la cosa migliore» che avesse mai scritto, prevede nellorganico, oltre pianoforte oboe e fagotto, il clarinetto (Stefano Novelli) e il corno (Salvatore Accardi); mentre nel conclusivo, altrettanto noto, Quintetto in fa minore per pianoforte e archi op.
Auditorium. Sala Sinopoli, Venerdì ore 21. Biglietti da 14 a 26 euro. Informazioni: tel. 06.80.82.058
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