Paradosso Cosentino: l'eterno indagato senza mai un processo

Accusato di concorso esterno con la camorra, Nicola Cosentino non riesce neppure a farsi ascoltare dai pm. E le inchieste ne condizionano la carriera politica

Paradosso Cosentino: l'eterno indagato senza mai un processo

Sono quindici anni che su Nicola Cosentino aleggia la nomea di simil-camorrista. Non un brigante con lo schioppo ma un favoreggiatore in giacca e cravatta. La magistratura napoletana che lo ha in cura usa con lui la tecnica spizzichi e bocconi: un’accusa qua, una là, un anno sì, due no. La richiesta di usare le intercettazioni, bocciata a Montecitorio, è solo l’ultima iniziativa. Nel novembre 2009, il giudice voleva invece il placet parlamentare all’arresto. La Giunta competente lo ha però negato. In precedenza, il lavorio si è svolto via stampa. Una volta esce l’Espresso con la testimonianza ambigua di un camorrista, un’altra è il Roma (giornale del finiano Italo Bocchino, suo avversario in Campania) a chiamarlo in causa, poi un’indiscrezione di Repubblica, ecc. Uno stillicidio che tiene Cosentino sospeso tra politica e camorra senza mai una parola definitiva.

Nicola ha chiesto di essere sentito per chiarire. I giudici glielo hanno negato con fantasia: non ce n’è bisogno; non ci sono sospetti; ci sono, ma vanno approfonditi. Tutto fanno i magistrati, salvo processarlo. Sarebbe semplicissimo: neanche serve il permesso del Parlamento. In udienza, l’accusa scopre le carte, Cosentino si difende e in un lampo il rebus è sciolto: o è camorrista o non lo è. Ma i magistrati non sono interessati a mettere un punto fermo. Sembrano invece tenere Nicola sotto tiro per condizionarne la carriera politica. Da questo presunto punto di vista, assai furbesco, hanno già ottenuto buoni risultati. Nel novembre 2009, il deputato pdl ha dovuto rinunciare alla candidatura a governatore della Campania. In luglio, si è dimesso da sottosegretario all’Economia. Ora si punta a fargli lasciare l’incarico di coordinatore del Pdl campano. Ammettiamo pure che la manovra riesca. Resta comunque il torto agli elettori che continueranno a non sapere se hanno dato il voto a un brigante o a un valentuomo. Pessimo effetto - oltre agli affanni personali dell’ex sottosegretario - del rito giudiziario napoletano.

Cosentino, 51 anni, è nato e vive a Casal di Principe, regno dei Casalesi, camorra casertana. Debuttò in politica come socialdemocratico. A 19 anni fu consigliere comunale del Psdi del suo paese, poi consigliere e assessore provinciale. Quando il Cav si buttò in politica, passò con lui. Stravotato, divenne nel 1995 consigliere regionale di Fi. L’anno dopo, guarda caso, un gruppo di camorristi fece il suo nome. Uno di loro, Dario De Simone, raccontò di averlo incontrato mentre era latitante. Questo De Simone era il bomber della Casertana, la stessa squadra di Nicola che in gioventù aveva velleità di calciatore. Progetto mai realizzato per ragioni di status. I Cosentino sono infatti i satrapeschi titolari dell’Aversana petroli, distributrice di benzine. Nicola divenne avvocato e oggi dirige l’azienda, fondata dal padre nel dopoguerra, insieme ai sei fratelli.

All’imbarazzante rivelazione di De Simone, seguì - quattro anni dopo - la deposizione del casalese Carmine Schiavone che disse di avere favorito le elezioni di Nicola ai tempi del Psdi. Fu l’Espresso a pubblicare la testimonianza del camorrista. Cominciò così a spargersi la voce che Cosentino prendeva voti in cambio di favori. La magistratura intanto faceva lo gnorri. L’ultima grana di Cosentino è venuta dall’imprenditore Vassallo che nel 2008, riferendosi ai lustri passati, confermò gli appoggi elettorali malavitosi in suo favore. Vassallo aggiunse che anche altri politici, tra cui Bocchino, «facevano parte del nostro tessuto camorristico». Dunque tre chiamate in correità, a lunghi intervalli, per presunti fatti che risalivano agli anni ’90 del secolo scorso. Gli stessi per i quali le toghe napoletane procedono adesso a singhiozzo. Perché non subito? Perché Cosentino e non gli altri politici? Vattelapesca.

Contro Cosentino si è schierato anche Saviano, lo scrittore. In Gomorra racconta che un fratello di Nicola è sposato con la sorella di un casalese, Giuseppe Russo, alias Peppe ’o padrino. Pronta la risposta di Cosentino: all’epoca del matrimonio, ’o padrino era nu guaglioncello di 14 anni che pensava più a ballare a suon di putipù e tricca-ballacca che a delinquere.

Il seguito lo abbiamo accennato. L’anno scorso un gip, Raffaele Piccirillo, si è materializzato con la richiesta alla Camera di arrestare il Nostro. Motivo: «Contribuiva sin dagli anni ’90 a rafforzare i vertici della camorra... dai quali riceveva puntuale sostegno elettorale». L’accusa era il solito concorso esterno. In quei giorni, Nicola si era candidato a governatore pdl della Campania. I finiani d’ordinanza si schierarono subito col gip per la gattabuia. A capeggiarli Bocchino, che impiccherebbe Cosentino al pennone. Ma la Giunta per le autorizzazioni, compresi i finiani morbidi, rispose picche. A mettere il niet nero su bianco, il relatore Maurizio Turco, occhialuto deputato radicale. Cosentino - ha scritto - non si è comportato diversamente da Bassolino e la sinistra «immersi nell’humus territoriale campano di politica malata. Mi consta però che lui sia persona perbene». È piuttosto la magistratura a essere subdola, svegliandosi con 15 anni di ritardo. «Occorreva forse vedere quanto cresceva politicamente Cosentino prima di intervenire? Basta questo per minare l’inchiesta».

E ancora: i riscontri alle dichiarazioni dei pentiti sono «totalmente insoddisfacenti e tutto si ferma al 2004», mentre «la procura, che non ha neanche voluto sentire un presunto innocente, tacciandolo anzi di essere un potenziale criminale, ci chiede oggi di fidarci dei pentiti sicuramente criminali. Una procura in cui secondo lo stesso procuratore generale della Corte d’Appello di Napoli “ci sono pm fanatici che danneggiano le persone e provocano sofferenze”». Perciò, col piffero che vi diamo il via libera per l’arresto.
Sollevato, Nicola riprese il tran tran. Un’ora di jogging a Villa Borghese e, caschi il mondo, la fuga da Roma ogni sera per Casal di Principe dove ha moglie, due gemelli, e un altro figlio. Qui, bazzica gente a rischio, elargisce raccomandazioni alla napoletana, presiede banchetti. A questo dinamismo si deve la leggenda del «fuso orario Cosentino»: un suo minuto equivale a dieci degli altri. Beccarlo è spesso un’impresa. Tant’è che, stufo di chiamarlo a vuoto, il Cav gli ha imposto un cellulare col numero riservato per lui.

Poi, però, Nick l’ha fatta grossa. Inacidito con il pdl Stefano Caldoro, che lo ha soppiantato alla presidenza della Regione Campania, ha partecipato a un’infame diffamazione contro di lui: il governatore frequenta trans.

Lo scandalo è scoppiato in luglio. Cosentino ha pagato con le dimissioni da sottosegretario. Ma non ha ammesso, né si è scusato per la gaglioffata. Per chi scrive questa è la sua sola colpa accertata. Da vero impudente e autentico impunito.

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