Politica

Parigi si smarca da Roma e attacca la Siria

La Francia non fa sconti: «Non ci fidiamo di Damasco». E minaccia azioni dure. Che potrebbero mettere in crisi la nostra missione

Alessandro M. Caprettini

da Roma

Nel corposo dossier messo a punto dagli sherpa in vista del vertice bilaterale italo-francese - che si tiene domani a Lucca - irrompe la vicenda libanese che rischia di scardinare i mille tavoli d’intesa che si erano approntati per l’occasione.
Di carne al fuoco ce n’è tanta: da Alitalia alla questione energetica (con GdF-Suez che stenta ed Enel che rifà capoccella), dalla Torino-Lione ad altri accordi nel pianeta difesa, dai problemi istituzionali Ue al tema caldo della Turchia, più tutta una serie di intese sul piano della ricerca, degli aiuti al terzo mondo e via per i rami.
Ecco invece che l’assassinio di Pierre Gemayel irrompe sulla scena mettendo a rischio i delicati equilibri che Prodi e Chirac - attorniati ciascuno da ben 8 ministri - pensavano di poter governare nel corso del summit. E infatti a fronte di una Italia che condanna l’attentato al leader cristiano maronita ma che si guarda bene dallo spendere una parola in più sui possibili autori e registi dell’operazione, sta una Francia che da due giorni si spende in accuse pesantissime sul ruolo di Damasco e, in subordine, di Teheran. Parigi non usa mezze misure: Douste Blazy ripete da 48 ore «che della Siria non ci fidiamo» dai tempi dell’assassinio del premier Rafik Al Hariri e che per questo motivo «i rapporti restano congelati». L’assassinio di Gemayel, rincara il ministro degli Esteri d’Oltralpe, «fa parte di un nuovo piano di destabilizzazione del Libano a cui dobbiamo reagire con la più grande fermezza».
Parole dolcissime all’orecchio del premier Siniora, ma meno apprezzate dal governo di centrosinistra italiano, che con Damasco sogna di aprire nuovi ponti - anche perché è il mezzo per arrivare fino al cuore di Teheran - ed evita quindi accuratamente ogni riferimento al regime di Bashar Assad. Non si tratta solo di diverse opzioni diplomatiche e tantomeno di differenze di lana caprina. In ballo c’è il comportamento da tenere nei confronti degli hezbollah teleguidati da Damasco e finanziati dall’Iran. Parigi dà l’impressione di voler andare oltre la voce grossa: tant’è che oggi, per le esequie di Gemayel sarà proprio Douste Blazy a rappresentare la Francia (mentre dei nostri parte il sottosegretario Intini...), che nell’ex-colonia ha molti interessi e nessuna idea di spalancare le porte agli sciiti di Nasrallah. Non è un caso che ieri lo stesso Chirac abbia salutato con estrema soddisfazione la decisione Onu di creare un tribunale internazionale per giudicare gli assassini di Rafik Al Hariri, dato che ciò «indica la determinazione della comunità internazionale di processare i responsabili e di sostenere il governo libanese per l’affermazione di un Libano pienamente democratico, indipendente e sovrano!». E non è un caso che lo stesso capo dello Stato abbia fatto sapere che alle esequie di Gemayel sarebbe andato Douste Blazy «per testimoniare la solidarietà della Francia non solo al Libano, ma alla famiglia Gemayel», il che è una chiara scelta anti-siriana.
Ma il problema è che italiani e francesi, nella missione Unifil, a sud del Libano, lavorano fianco a fianco.

Che accadrà se i secondi si convincessero che bisogna interrompere le vie di rifornimento d’armi che hezbollah aveva e probabilmente ha ancora in direzione di Damasco? Ecco perché un summit a due ricco di promesse e possibili affari diviene all’improvviso un tantinello spinoso.

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