Con un accorato articolo di fondo sul Corsera di ieri, Claudio Magris stigmatizza l’uso del turpiloquio in politica. Il maggiore quotidiano e un grande intellettuale educato alla mitezza mitteleuropea sono finalmente scesi in campo contro la decadenza nell’epoca berlusconiana. Ciò che amareggia di più Magris - massimo interprete del bon ton del defunto impero asburgico - non è la volgarità in sé ma che essa non scandalizzi più.
Cos’ha deciso Magris di indignarsi a metà agosto per la violenza verbale e al Corsera di ospitarlo con rilievo come fossimo di fronte a un’emergenza nazionale? È Magris stesso a dircelo: «Volgarità e sconcezze in questi giorni, arrivano da tutte le parti e da persone che si credono élite, classe dirigente, maestri nell’arte della politica». Dunque ben venga l’intemerata di 300 righe simile, per estensione, alle prediche domenicali che Eugenio Scalfari dispensa su Repubblica, diretta concorrente del Corriere.
Sciolta la penna, il Mitteleuropeo insegue con acribia le tracce dell’oscenità e la inquadra nei mala tempora che viviamo. La sua però - da intellettuale consapevole della diversità - non è una condanna assoluta delle parolacce. Anch’esse - dice - «fanno parte dell’essere umano e talvolta si deve usarle, come Dante insegna». Se lo sdegno è al colmo, ben vengano perché hanno sapore di nobiltà. Infatti - sdottora - «c’è un’abissale differenza tra la parola “merda” che Cambronne grida» agli inglesi che gli intimano la resa e «la stessa “merda” che la signora Santanchè ha usato riferendosi all’onorevole Fini». La prova è che «Victor Hugo difficilmente potrebbe scorgere qualcosa di sublime in questo termine adottato dalla signora, che egli invece celebrava nella parola di Cambronne». Ci inchiniamo senz’altro all’autorità di Magris sulle reazioni indignate che Hugo avrebbe avuto nei riguardi della Santanchè. Però siamo nel campo delle ipotesi, terreno infido. Per trovarne uno più solido, preferisco pensare che l’espressione di Cambronne e quella di Santanchè si equivalgano e che Hugo approvando il «merda» del generale francese avrebbe apprezzato anche quella del sottosegretario italiano.
Avendo spazio a iosa, il Mitteleuropeo largheggia in citazioni. Evoca Kant e la sua teoria sul rispetto dell’individuo, «premessa di ogni virtù e base di ogni civiltà». Più oltre - stimolato dalla sua sapienza di germanista - va sul difficile. È la volta di Marx e del «Lumpenproletariat, proletariato intellettualmente pezzente», poi del «Lumpenbuergertum, borghesia intellettualmente pezzente». Esempi tutti che si attagliano alla miseria del ceto dirigente odierno. «Chi nello scontro politico dice un’oscenità - osserva pacato il professore - probabilmente non sa dire altro» e analizza due casi. Quello del deputato Pdl Stracquadanio che «auspica di adottare nei confronti degli avversari “il metodo Boffo” (ex direttore dell’Avvenire pizzicato dal Giornale, ndr) che disonora chi se ne serve» e quello dell’onorevole Bianconi (Pdl anche lui, ndr) che, reo di avere detto che Napolitano violerebbe la Costituzione negando elezioni anticipate, «offende il presidente della Repubblica». Dove sia l’offesa non è chiaro, ma ubi maior. Il tono di Magris è apparentemente neutro. La tesi, invece, totalmente partigiana: i volgaroni sono tutti annidati nel centrodestra.
Dall’articolista c’era da aspettarselo. Il docente triestino è preda di due nostalgie: Casa d’Asburgo e il comunismo. Non si è mai rassegnato alla fine dell’Urss. Anni fa disse, col groppo alla gola: gli ideali dei comunisti sono ancora vivi (o qualcosa di simile), piroettando sui crimini. Stupisce invece che la direzione del Corsera abbia accettato il pezzo. O che, almeno, non abbia preteso un’integrazione col vasto contributo della sinistra alla delicatezza del linguaggio. Nei panni del direttore de Bortoli gli avrei fatto faxare a Trieste qualche ritaglio di Pier Luigi Bersani & Co.
Partiamo appunto da Pier Luigi, addì 22 maggio 2010 sulla riforma della scuola: «La Gelmini rompe i co..ni ai professori», raffinatezza accolta da ferventi applausi progressisti. Nessuna donna trovò a ridire sull’offesa a una di loro ma dell’altro campo. Tra le silenti tutte quelle che, per il «più bella che intelligente» appioppato dal Cav a Rosy Bindi, provarono «sgomento e indignazione», strappandosi le chiome per il maschilismo del mentecatto di Arcore. Per Andrea Camilleri, il siculo-giallista del Pd, «la Gelmini non è un essere umano». È lo stesso che dedicò a Bossi una delle sue splendide «Poesie incivili»: «Quel medio alzato all’inno di Mameli se lo metta in c..lo, Senatore, già fatto largo per averci infilato il tricolore. Mi congratulo per la capienza...». Segue chiusa: «Ma questo ano è proprio un buco nero».
Ecco in rapida successione il contributo degli altri all’elevazione del dibattito. D’Alema al condirettore del Giornale, Alessandro Sallusti, in diretta a «Ballarò»: «Ma vada a farsi fottere, lei è un bugiardo e un mascalzone». Nichi Vendola in tv rivolto a Maurizio Gasparri: «Vaffanc...». Un neo beniamino della sinistra, Gianfry Fini, in visita a una comunità di ragazzi immigrati: «Stranieri diversi? Str..zo chi lo pensa». Ogni tanto se le danno anche fra loro. Pannella a Franceschini: «Hai la faccia come il c..o».
Poi, tutti insieme, al «Vaffanc... day» dell’amico Beppe Grillo, inalberando il cartello: «Berlusconi ci hai rotto i co..ni».Aspettiamo da de Bortoli e dal prof suo collaboratore un bis di riparazione che dia conto delle omissioni.
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