Chi spera nel suo discorso alla Columbia University, in terra americana, è servito. Quel che pensa il presidente Mahmoud Ahmadinejad lo urla forte e chiaro a casa propria, davanti al mausoleo dellimam Khomeini e a schiere di missili e carri armati in parata. «Chi pensa che strumenti fuori moda come guerra psicologica e sanzioni economiche fermino la marcia dellIran commette un grave errore». Mentre il presidente lancia il suo avvertimento gli strumenti della nouvelle vague iraniana gli sfilano davanti, gli volano sulla testa. Nel cielo sfrecciano tre nuovissimi intercettori Saegheh interamente made in Iran. Forse sono e resteranno gli unici in servizio effettivo, perché lindustria iraniana ha già fatto fatica a mettere insieme lavionica necessaria a tenerli in volo, ma tantè. Quelle ali tutte iraniane sono il simbolo del nuovo corso, della nuova voglia di potenza della Repubblica islamica.
Non a caso il nuovissimo missile mandato a sfilare sotto gli occhi compiaciuti del presidente si chiama proprio Ghadr-1, ovvero potenza. Sembra una bottiglia di Coca-Cola ingigantita, ma chi lha progettato aggiungendo potenza e portata ai già temuti Shahab-3 lha studiato proprio per tener nel mirino i fabbricanti di Coca-Cola, le loro basi mediorientali e lodiato nemico israeliano. Shahab poteva volare per oltre 1.300 chilometri, Potenza si spinge molto più in là, fin oltre i 1.800 chilometri. Israele, il resto del medio Oriente e anche un po dEuropa sono insomma a portata di mano. «Questa parata dimostra che i nemici hanno già fallito - spiega il presidente alludendo alle sanzioni comminate per due volte dal Consiglio di Sicurezza dellOnu -. Ci volevano privare anche del filo spinato e invece dovrebbero venire qui e ammirare questi mezzi, prodotti dalle mani vigorose del ministero della Difesa e della nostra industria militare». Le sanzioni, insomma, non servono a un bel niente e se anche il Consiglio di Sicurezza le irrobustirà su richiesta occidentale, la Repubblica islamica continuerà a riarmarsi.
Quello che Ahmadinejad per una volta non dice arriva scritto a lettere cubitali sugli striscioni e sulle bandiere avviluppate a camion e colonne corazzate. «Morte allAmerica». Lo slogan liturgico scorre e ricompare a ogni piè sospinto, ma la frase che rimarca lo scontro mai ricomposto è la famosa citazione di Khomeini. Le parole «Israele deve essere cancellato dalla mappa» campeggiano sullo striscione di un carro armato e segnano le irremovibili certezze del presidente. Certezze suggellate, nellanniversario dellinizio della guerra con lIrak, davanti al mausoleo dellimam che le pronunciò. LIrak, 28 anni dopo linizio di quel disastroso conflitto, resta lultima frontiera, la Danzica su cui il presidente vuole far piazza pulita degli americani. «Se gli Stati Uniti vogliono risolvere i loro problemi - ammonisce - devono ritirare le truppe dalla regione e dallIrak, perché la presenza di forze straniere è fonte dinsicurezza, discordie e minacce».
Parole che solo il generale Mohammad Alì Jafari, comandante dei pasdaran fresco di nomina, riesce a rendere più minacciose. «I nostri missili colpiranno - promette - qualsiasi Paese della regione che metterà a disposizione spazio aereo o basi per un attacco ai nostri siti nucleari. Chi lo farà sarà considerato alleato del nemico e riceverà una risposta da parte della Repubblica islamica». La minaccia più subdola è per gli Stati Uniti. Per il contrattacco sarebbe inutile - sottolinea Jafari - «sprecare tecnologia contro tecnologia», non avendo a disposizione i mezzi del nemico.
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