Il parroco vuole spostare l’altare: 220 fedeli firmano contro il progetto

L’edificio è stato costruito nel 1966 ed è realizzato in cemento armato. A forma di tenda, svetta sulle case

Fedeli in rivolta perché il parroco vuol stravolgere la disposizione interna della chiesa. Accade alla Barona, nella parrocchia di San Giovanni Bono che sorge al centro del quartiere Sant’Ambrogio. La notizia potrebbe far pensare alle consuete (e spesso motivate) proteste di chi auspica che non vengano distrutti o imbalsamati da architetture moderne gli antichi altari delle chiese tradizionali. Qui, invece, si tratta di una chiesa costruita quarant’anni fa su progetto dell’architetto Arrigo Arrighetti, che volle una chiesa in cemento armato svettante in altezza, a forma di tenda.
Il parroco, don Paolo Selmi, insieme a don Giancarlo Santi, esperto di architettura degli spazi liturgici, con il consenso della Curia di Milano hanno infatti deciso di invertire completamente lo spazio interno della chiesa, portando l’altare a ridosso dell’entrata principale. Ma centinaia di parrocchiani hanno detto no e hanno raccolto firme contro l’iniziativa.
Il nuovo progetto, preparato dalla giovane architetto Donatella Forconi, mira «a favorire celebrazioni che siano più comunitarie e partecipate», spiega il parroco. Nella chiesa si sta già sperimentando la nuova sistemazione: a causa dei lavori per rinnovare l’impianto di riscaldamento, infatti, l’altare principale per le celebrazioni è già stato spostato dal lato opposto a quello in cui si trovava e in cui venne collocato quarant’anni fa dall’architetto, ovviamente con il consenso della Curia di allora, che già aveva concepito questa chiesa secondo i canoni della riforma liturgica.
«Anche noi siamo Chiesa - spiegano i firmatari, che rappresentano 220 nuclei familiari di una parrocchia che vede una frequenza alla celebrazione domenicale di circa cinquecento persone - eppure non veniamo ascoltati in alcun modo. Il progetto rivoluziona completamente la nostra chiesa, bella e particolare, che abbiamo visto costruire e crescere dal 1966. La nuova disposizione crea problemi, porta l’altare a ridosso dell’ingresso principale, che deve rimanere aperto. Siamo in tanti ad essere contrari e ci chiediamo perché questi cambiamenti possano essere messi in atto senza ascoltare la comunità».
Don Paolo, il parroco, è convinto della bontà del progetto, e bolla come assolutamente minoritaria la protesta: «La prova reale della bontà della nuova sistemazione, infatti, è costituita dalle celebrazioni che si susseguono regolarmente, in ordine, in modo partecipato. L’iniziativa è oggetto di riflessioni, scambi di opinioni, visite. In quartiere se ne parla. La stragrande maggioranza ha accolto con favore la nuova sistemazione; concorda; ne ha colto il significato: favorire celebrazioni che siano più comunitarie e partecipate».
Duecentoventi firme, però, non sono bazzecole, specie se paragonate al numero dei battezzati che frequentano regolarmente il rito, anche se don Paolo ha messo nero su bianco che «Solo un piccolissimo gruppo di persone ha manifestato disagio ma spero che con il tempo sappiano anch’esse apprezzare il valore educativo e comunitario del progetto».

Colpiscono, nella vicenda, due elementi: la mancanza di ascolto e di coinvolgimento dei fedeli nelle scelte che li riguardano (anche se il fine, paradossalmente, è quello di farli partecipare di più alla liturgia), e l’idea che questa partecipazione si favorisca facendo in modo che la gente si possa guardare in faccia e sia disposta circolarmente.

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