Politica

La partita di Telecom

La guerra è una cosa troppo seria per essere affidata ai generali, diceva il francese Clemenceau durante la prima guerra mondiale. E la storia gli ha sempre dato ragione. Analogamente si può e si deve dire che la vicenda Telecom è cosa troppo seria e delicata per affidarla in esclusiva al sistema bancario italiano e per essa ai due gruppi che se ne contendono l’egemonia (Banca Intesa e Mediobanca-Capitalia). La Telecom non è solo un’azienda che produce molti utili (oltre tre miliardi netti) e che ha delle performance molto alte rispetto ai suoi competitori europei (margini di redditività e volume di investimenti). La Telecom è qualche cosa di più e di diverso. Essa è l’ex monopolista con dentro la pancia la proprietà della rete della telefonia fissa ed in particolare «dell’ultimo miglio», passaggio obbligato per tutti gli operatori del settore. Ma non basta. Telecom è anche proprietaria di tre frequenze televisive ed è il primo collaboratore delle procure della Repubblica di tutta Italia in quell’inferno dei vivi che è diventata l’intercettazione di massa, una sorta di grande fratello messo nelle mani di alcuni procuratori della Repubblica e dei servizi segreti.
Telecom, dunque, non è solo una questione economica ma è anche una questione di potere che nella debole democrazia italiana rischia di essere un elemento illiberale e distorsivo. La sua strategicità è legata, inoltre, anche al potenziale di innovazione tecnologica che hanno tutte le aziende delle telecomunicazioni e che in molti Paesi ha suggerito ai governi di mantenere nel loro azionariato una presenza pubblica. Alcune volte minoritaria, altre volte maggioritaria come nel caso della France Télécom e della Deutsche Telekom. Finanche nella «privata» svizzera, la Swisscom, nuovo acquirente di Fastweb, ha una forte presenza pubblica a testimonianza del valore strategico sul piano della sicurezza, della ricerca e dell’innovazione delle aziende di telecomunicazioni. La Telecom, dunque, è un altissimo concentrato di potere economico, finanziario, innovativo e democratico.
Stando così le cose il suo destino non può essere affidato alla esclusiva professionalità dei massimi responsabili del sistema finanziario italiano e men che meno a quella di autorevoli avvocati societari come Guido Rossi che, per scelta vocazionale e professionale, fanno i consulenti. La preannunciata uscita di Pirelli dall’azionariato Telecom deve rappresentare un salto di qualità dopo le disastrose esperienze di avventurose privatizzazioni avvenute alla fine degli anni Novanta. Per essere chiari fino in fondo: se la Telecom è strategica per il Paese, per i suoi equilibri democratici e per la sua capacità innovativa e relazionale sul piano internazionale, non può non avere una pluralità di azionisti pubblici e privati, finanziari e industriali. E tanto per fare nomi e cognomi, la Cassa depositi e prestiti, una struttura pubblica nel cui azionariato vi sono moltissime fondazioni, non può non essere della partita. Così come possono essere della partita aziende capaci di produrre interessanti sinergie industriali come Mediaset e imprenditori come Carlo De Benedetti, già misuratosi con la telefonia mobile all’inizio degli anni Novanta.
In questa cornice Banca Intesa, Mediobanca, Capitalia e Generali sono partner finanziari di altissima qualità che insieme ai soci industriali e a quello pubblico possono coniugare grandi investimenti in ricerca e innovazione, sinergie industriali e sicurezza democratica oltre che affrontare con la necessaria forza una integrazione internazionale con gli altri operatori europei e mondiali. Chi discute solo di bilanci e di prezzo della quota di Olimpia in Telecom non vede, o non vuole vedere, tutto ciò che c’è dentro in questa partita. Lo abbiamo detto e lo ripetiamo. Da sei mesi a questa parte c’è una partita di potere che si sta giocando sulla Telecom e che ha già penalizzato i piccoli azionisti con il calo dei titoli in questi ultimi sette mesi. Il governo e la politica nel suo insieme hanno il dovere di assumersi le proprie responsabilità senza preoccuparsi più di tanto di interessate polemiche su presunti e inesistenti ritorni alla pubblicizzazione. Lo stesso azionista di maggioranza, nel momento in cui si appresta ad uscire, deve avere un colpo d’ala discutendo anche con il governo un più stabile e più sicuro assetto azionario della Telecom mettendo da parte antiche polemiche. Solo dopo si affronterà il nodo del superamento dell’attuale management che ha messo in pista, non sappiamo se per incapacità o per altro, un piano industriale che tale non è.

Ma questa sarà un’altra partita.
Geronimo

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