Da quando ha fondato Futuro e libertà, Gianfranco Fini lancia messaggi confusi perché costretto a barcamenarsi tra posizioni opposte. Lo sforzo titanico ha l’obiettivo di tenere assieme un partito già allo sbando ma potrebbe ottenere il risultato opposto a quello desiderato: scontentare tutti. È il rischio che si corre a essere troppo vaghi nella proposta politica. Ieri il presidente della Camera ha «aperto» sulla riforma della giustizia perché «non è un provvedimento ad personam». Sì al dialogo, dunque, «senza pregiudizi » ma «con diffidenza» perché «alcune questioni non sono chiare». Senza pregiudizi ma anche con diffidenza? A una carezza alle colombe, che cercano di ricucire con la maggioranza, segue un’imbeccata ai falchi: «In Italia non c’è alcuna dittatura dei magistrati» è la risposta finiana alle parole di Silvio Berlusconi («Tra tutte le dittature la peggiore è quella dei giudici. Con questa riforma noi eviteremo che ciò accada»).
Tira aria di veltronismo. Forse è inevitabile: Gianfranco Fini è presidente della Camera ma anche leader di partito. Futuro e libertà è «alternativo al centrodestra » ma anche «di centrodestra ». Il Fli non è una caserma, ha ripetuto spesso Fini: infatti accoglie liberali ma anche statalisti, supercattolici ma anche superlaici, berlusconiani ma anche antiberlusconiani. Per Fini, la Costituzione «non è intangibile» ma è anche «immodificabile a colpi di maggioranza», e comunque parte del Fli partecipa alle manifestazioni di piazza in difesa della Carta. Se poi si sfoglia il recente saggio L’Italia che vorrei , edito da Rubbettino, si scopre che il federalismo è riforma fondamentale ma anche pericolosa perché «sono in gioco i valori fondamentali come la coesione sociale del Paese, intesa come garanzia di universalità delle prestazioni essenziali da assicurare senza discriminazioni geografiche a tutti i cittadini». Sulla chiusura delle frontiere, Fini vorrebbe applicare «molte delle restrizioni» perché «oggettivamente giustificate e giustificabili » ma anche «ascoltare le richieste di coloro che bussano alle porte».
È tutto così sfumato, assennato, conciliante da rasentare la banalità. Sarebbe questa la nuova destra riformista? Assomiglia troppo alla sinistra di Walter Veltroni, che annunciava di voler andare in solitudine alle urne ma anche di allearsi con Antonio Di Pietro. Tenere assieme tutto e il suo contrario era un’arte per l’ex segretario democratico, il quale, senza tornare indietro a episodi sublimi («Si poteva stare nel Pci senza essere comunisti », disse in un’intervista), dopo la sconfitta alle urne del 2008, riconosceva di aver perso ma anche «di aver fatto un miracolo». E qualche tempo dopo, ormai sostituito da Bersani, affermava di sentirsi «dentro» il partito ma anche «fuori». Un po’ come Fini prima della rottura definitiva.
Certo, al presidente della Camera manca la zampata poetica di Veltroni, il quale, per rendere conto della complessità delle sue posizioni politiche, ha spiegato che «una tavolozza a più colori è più simile alla realtà della vita delle persone». Invece Fini, in un goffo tentativo di innalzare il dibattito, sfoggia una prosa allimite dell’umano: «Il tema della identificazione di un nucleo di valori e di princìpi supremi, così inscindibilmente legato alla capacità di un ordinamento costituzionale di imporsi e farsi valere, ma anche di assicurare effettivi ambiti di libertà e di autonomia, si colloca, senza alcun dubbio, al centro di ogni ricostruzione sistematica operata dalla scienza del diritto costituzionale ». Sembra la trascrizione di un seminario degli anni Settanta, invece è roba vergata nel 2011.
Come Veltroni, Fini si è circondato di intellettuali. Danno sempre lustro e, talvolta, ottime idee. In questo caso però le strade dei due «maanchisti » si separano bruscamente. Scrittori e registi, dopo anni di piaggeria smaccata, hanno abbandonato Walter nel momento della caduta. Il romanzo La scoperta dell’alba ( 2006) fu accompagnato da lodi sperticate. Senza alcun senso del ridicolo, i critici fecero a gara per accostare Veltroni a Luigi Pirandello e a un’altra tonnellata di pesi massimi della letteratura. Noi , uscito nel 2009, ha raccolto stroncature.
Quando cade l’acrobata, entrano i clown (2010) non l’ha recensito nessuno. Fini ha seguito una strategia diversa: i pensatori afflitti da sintomi di dissenso sono stati zittiti (Sofia Ventura) o posti in quarantena (Alessandro Campi). Il Fli è una caserma? No ma anche sì.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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