Pasticciotto, il dolce che strega

nostro inviato a Lecce
Tutti in Puglia, possibilmente in Salento. Io sono ancora più drastico e faccio iniziare la «mia» Puglia superata una sorta di personalissima linea d’ombra, da Gallipoli a Otranto via Maglie. Sono gli ultimi 40 chilometri prima di fermarsi a Leuca per guardare il vuoto oltre un’Italia che lì ha fine. Purtroppo, per quanto questo triangolone sia lontano anni luce dal turismo stile Liguria, Romagna o Versilia, i fondi di bottiglia non mancano come il ricorso ai prodotti congelati, ovviamente spacciati per artigianali.
Succede anche al dolce-bandiera, al pasticciotto, da non confondere con il bocconotto, tipico dell’Abruzzo (ma presente anche in Puglia), di forma rotonda (e non ovale) e con ben altro ripieno, scuro per via di cioccolato piuttosto che marmellata di uva o mosto cotto e non giallo per la crema pasticcera. Il pasticciotto è il dolce leccese tanto da ritrovarlo, ricorda Rossella Barletta nel suo Dolci tipici salentini per le Edizioni del Grifo, «nella facciata del Sedile e a destra della facciata della chiesa di Santa Croce». Lei stessa precisa subito dopo che è stato il primissimo pasticciere, ignoto a tutti ormai, a essersi ispirato ai fregi artistici tipici di Lecce foderando uno stampino, 10 cm per 6, di frolla farcita con crema e sigillata con un altro strato frolloso. Fu Alvino, in piazza Sant’Oronzo, ormai un ricordo, a codificarlo e farlo poi conoscere fuori dalla provincia. Era il 1911. Novantadue anni dopo, febbraio 2003, l’amministrazione comunale ha pensato di tutelare il pasticciotto con la De.Co., la denominazione comunale di origine, spesso importante ma altrettanto spesso una mezza barzelletta perché i controlli sono blandi e i disciplinari generosi.
Il problema è la diffusione del prodotto industriale, spesso sotto mentite spoglie. Io trovo ben poco di artigianale nel riscaldare un pezzo di ghiaccio, eppure la maggioranza dei pasticciotti sono forniti già pronti al gestore dei bar al quale basta scongelarli. Li si riconosce facilmente: la crema è fredda e «metallica», sono unti e ti lasciano la bocca impastata, soprattutto sanno di poco. Profumi pressoché zero, eleganza minima, un nome simpatico e poco più.
Morale: due settimane a inizio luglio sulle tracce del pasticciotto sublime. Missione compiuta anche se il terzo grande indirizzo, quello di Andrea Ascalone a Galatina, gettonato da tutti, lui una sorta di guru, era chiuso per ferie ma non è certo obbligatorio guidare una Maserati per sapere che è una signora auto. Gustati e applauditi invece quelli «eretici» di Picci a Patù, Antonio ed Emilia Picci per la precisione, e quelli altrettanto creativi di un secondo Antonio, Campeggio di cognome, titolare di Arte Bianca a Parabita.
Eretico... creativo... tutto ruota attorno al grasso usato nella frolla. Tradizione vuole debba essere lo strutto. Chi non lo impiega (e ai giorni nostri fa bene, mangiare male solo per rispettare la memoria è di una stupidità assoluta), viene accusato di non fare il «vero pasticciotto salentino». Dovendo celebrare usi e costumi, la Barletta unisce quattro etti di strutto ad altrettanti di zucchero e a un chilo di farina. Idem Lucia Lazari in Cucina salentina, 629 ricette di ieri e di oggi (e in questo oggi rientrano cassata e panettone...). Sono quasi soli. Antonio Edoardo Foscarini, in Cucina popolare e aristocratica di Terre d’Otranto per Capone, raccomanda il burro, così Tonio Piceci in Oltre le orecchiette per Del Grifo.
Soprattutto conta chi lavora in laboratorio. Picci fa metà/metà tra margarina e burro, Campeggio opta per solo burro. C’è una spiegazione. Il primo è un valido e appassionatissimo pasticciere autodidatta, cresciuto in scia a un cuoco d’albergo in Svizzera, dove basta fare il gelato con bustine e latte (e non acqua) per fare «qualità». La sua insegna è a conduzione famigliare, moglie e sorella, l’equivalente di una ottima trattoria. Campeggio invece ha studiato, lavora di fino e il suo laboratorio è condizionato, freschissimo e vi può lavorare la frolla con il burro, senza timore che il caldo la crepi e alla fine la sciupi. Ne propone di due misure, normale e mignon, e con due ripieni diversi: solo pasticciera oppure crema e gocce di cioccolato. Fosse un cuoco, guiderebbe un ristorante di classe.

Pasticciotti olè.

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