da Roma
«Via, via, andiamocene! Che stiamo a fare qui?», sè udito Pier Ferdinando Casini che esortava i suoi con voce imperativa e un po stizzita, mentre i deputati della maggioranza scattavano ad applaudir la fine del discorso del premier e pure quelli del Pd si alzavano in piedi con rispetto e contenuta soddisfazione. In blocco e frettolosamente sono usciti dallaula quelli dellUdc, mentre tutti gli altri ancora sattardavano sui banchi. Essendo i primi a uscire hanno calamitato lattenzione dei cronisti, ma nessuno sè fermato ed hanno attraversato velocemente il Transatlantico dileguandosi. «Parlerò domani», ha tagliato corto Casini per liberarsi dalla muta che lo inseguiva. E poiché quelli non demordevano, lo provocavano sull«invito al dialogo» di Silvio Berlusconi, sè trincerato nel generico: «Tutti noi dobbiamo dialogare».
Tarda mattinata di ieri, così sè consumato per lUdc il discorso di fiducia al quarto governo Berlusconi, il primo senza la partecipazione di Casini. Alle 10.15 quando il premier ha preso a parlare, anchegli probabilmente come gli osservatori e i giornalisti saspettava almeno un cenno dindirizzo, dapertura o chiusura che fosse, per lex alleato centrista oltre ai ragionamenti sviluppati per il Pd. Quel che tutti si aspettavano dalla seduta di ieri, era la visione plastica dellUdc stretta tra lincudine di Veltroni e il martello di Berlusconi, la sfida di questo partito sfuggito alla malasorte che ha travolto ogni altro cespuglio pur di media grandezza, ai due vasi di ferro che lo stringono ai lati. Invece niente, Berlusconi li ha ignorati del tutto. Nemmeno una mezza frase, ha indirizzato a Casini. Parlava, li aveva davanti a sé ma sembrava non vederli, era come se quei 35 scranni fossero trasparenti, vuoti.
Lo spettro del vuoto e dellinutilità paralizza più dellattesa dello scontro, lhorror vacui impedisce qualunque attraversata del deserto e vanifica ogni attesa dei Tartari. Per questo forse, sono letteralmente fuggiti sottraendosi agli uni e agli altri. «Ci riuniamo per decidere la linea», ha detto lindomito Mauro Libè uso a sorridere anche nella peggiore delle catastrofi, correndo insieme agli altri amici. Lorenzo Cesa, che pure è il segretario dellUdc, sfuggito miracolosamente al controllo di Francesco Pionati pur uso a misurargli ogni parola, sè fatto incastrare nellangolo di un finestrone battuto dalla pioggia e ha dichiarato che «se le parole di Berlusconi si riveleranno concrete, se saranno seguite dai fatti, soprattutto su famiglia e Mezzogiorno, siamo pronti ad appoggiare il governo». Senza freni, il segretario. Sino a riconoscere come «positivo che dopo 15 anni di scontro frontale tra maggioranza e opposizione ci sia un clima diverso e unapertura al dialogo».
Maggioranza, opposizione!? E dove sta lUdc? Il liberatorio commento di Cesa ha autorizzato i soliti ben informati ad assicurare che nella riunione riservatissima presieduta da Casini almeno quattro deputati avevano proposto di votare la fiducia al governo hic et nunc, senza se e senza ma. Per la serie: togliamoci il dente e torniamo a casa, forse Berlusca non ammazzerà il vitello grasso, ma almeno un cappone ce lo spennerà. Anche voi che non vintendete di astruse strategie politiche, sapreste trovare una soluzione più ragionevole allo stallo in cui è paralizzata lUdc? È andato a Canossa Enrico IV, che era imperatore, non può andarci il Pier? Oltretutto, mentre a Montecitorio riprendeva il dibattito sulla fiducia, gli unici eletti della lista solitaria centrista presenti in aula erano Mario Baccini che sè iscritto al gruppo misto e tutti già vedono nel Pdl, e Bruno Tabacci che tutti già danno ricongiunto a Marco Follini nel Pd.
No, Casini non è per le rese immediate. «Non dimenticare che è Berlusconi, che non ci ha voluto», sussurra Lillo Mannino.
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