La paura (sbagliata) dei liberali di difendere i valori

Vietato appropriarsi del Barone di Montesquieu

La paura (sbagliata) dei liberali di difendere i valori

Vietato appropriarsi del Barone di Montesquieu. Bene fa dunque Donzelli a pubblicarne un'interessante lettura da parte di Dario Ippolito. Ma c'è un ma nel libro Lo Spirito del garantismo. La dannata paura di stare dalla parte sbagliata: quella della destra sotto processo. Ottima idea dunque, quella di affidare la prefazione a Nadia Urbinati. In fondo questa biblioteca nasce esattamente per questo motivo. I liberali, quelli che hanno paura di definirsi liberali di destra, non solo non sono riusciti negli ultimi anni a produrre un pensiero forte, ma hanno mollato anche la difesa dei loro principi e dei loro padri ai circoli conservatori e di sinistra della nostra intelligenza: perfetta la Urbinati dunque. Certo fate due passi in libreria e trovate il magnifico Gli errori giudiziari di Jacques Verges, l'avvocato dei farabutti, per i tipi di Liberi Libri. Ma in quel caso la prefazione è affidata a Giuliano Ferrara, favoloso, controintuitivo, ma non ceto di tradizione liberale. Il garantismo nasce con Montesquieu, non c'è dubbio, ma è sufficiente Ghedini per allontanarlo per sempre dal pensiero liberale? Direi di no.Ecco che dunque anche Ippolito passa, o meglio spreca, le prime pagine per raccontarci di come il garantismo di cui parla il Barone, non è quello peloso di questi tempi: chissà a chi si riferisce. Eppure ricorda come esso in Italia si sia sviluppato proprio negli anni '70, in contemporanea con le leggi eccezionali per combattere il terrorismo. Insomma come direbbero loro, se non ora, quando dobbiamo essere garantisti? Perché la lotta per le garanzie è giustificata per la Faranda e diventa sconcia per Berlusconi? Vabbè, transeamus. Resta Montesquieu e le molteplici letture che si possono fare dei suoi lavori. L'autore indugia, relativamente sulla famosissima questione della divisione dei poteri, e di più sullo spirito delle leggi: ottime le ricostruzioni sulla tassatività delle leggi e sulla materialità delle sanzioni. «Ogni pena che non derivi dalla necessità è tirannica», bisognerebbe ricordarlo ai nostri legislatori, e in questo ha ragione la Urbinati, ad un popolo affamato di soluzioni semplici ed esemplari. Scrive Ippoliti, ricordando il Barone: «L'indeterminatezza semantica delle figure di reato si traduce in accuse imprevedibili e in giudizi arbitrari». Pensava forse al concorso esterno in associazione mafiosa? Nooooo. E nella prefazione la Urbinati: «I giudici in uno stato libero sono la bocca che pronuncia le parole della legge: esseri inanimati, che non possono regolarne né la forza né la severità». Pensava forse a quei magistrati che pubblicamente hanno fatto sapere di voler fare a pezzi una forza politica? Noooo.

Gli è che il pensiero liberale, già di per sé minoritario, è stato troppo concentrato sulle questioni fiscali dimenticando, con Montesquieu, che non basta l'intuizione scozzese di rendere inviolabile la proprietà privata, se con la violenza lo Stato ci può togliere la libertà politica. Come ci insegna alla perfezione Montesquieu.

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