"Da Pavese a Cocciante il mio fil rouge in musica"

Il cantautore racconta i testi profondi del nuovo disco: "Autotune? Meglio le belle voci". Il concerto a San Siro

"Da Pavese a Cocciante il mio fil rouge in musica"
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Irama, non capitano quasi più titoli di dischi come il suo.

"Antologia della vita e della morte".

Dice poco.

"Sono racconti di vita e naturalmente di morte".

Una sorta di concept album.

"Ho avuto in mente anche Non al denaro, non all'amore né al cielo di De André ispirato dall'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, con il quale non provo neanche a paragonarmi. Ma non solo a quello".

Non ha neanche trent'anni, Filippo Maria Fanti detto Irama, e della sua Carrara conserva la caparbietà e la voglia di non allinearsi, di essere indipendente anche senza ribellione. Per er questo è uno dei cantautori che più tenacemente prova a rinnovare la tradizione senza scadere nel nostalgico modernariato oppure nell'innovazione purchessia che magari conquista qualche like ma resta spesso fine a se stessa. Ha esordito tra i giovani a Sanremo nel 2016, poi ha vinto Amici di Maria De Filippi nel 2018 e infine è entrato nel rooster dei cantanti da playlist, dei più gettonati come si diceva una volta, pur rimanendo abbastanza testardamente fuori dalle regole del mainstream (anche se il prossimo anno si esibirà a San Siro). È un outsider che resta fuori dagli schemi talvolta anche per coincidenze sfortunate come nel Sanremo 2021 nel quale, causa pericolo di contagio Covid, è diventato il secondo cantante dopo Claudio Villa nel 1955 ad aver partecipato al Festival senza mai cantare dal vivo durante la gara. Con queste nuove storie di vita e di morte è arrivato non soltanto al quarto album (quinto se si considera No stress inciso con Rkomi) ma pure a una consapevolezza abbastanza irrituale in un ragazzo neppure trentenne che avrebbe potuto perdersi per strada oppure attaccarsi a un cliché di successo e vivere di rendita (chissà poi per quanto). E infine, diciamola tutta, è un artista che parla di musica, non solo della propria musica, con una passione infiammata sempre più difficile da percepire in giro.

Anche per questo ricorda molto Riccardo Cocciante.

"È un onore solo il pensiero di essere accostato a lui. È inutile negare che è uno dei miei modelli e che molte sue canzoni mi hanno ispirato nel corso della mia vita. E poi ho pure duettato con lui all'Arena di Verona, un'emozione clamorosa. Di Cocciante mi piace il modo di cantare, di far uscire il suo dolore in maniera sporca e cruda".

In fondo anche lei ha questa attitudine.

"In questo disco specialmente".

Nel brano Il Giorno si richiama a Cesare Pavese.

"Lui scriveva che il dolore non è affatto un privilegio, un segno di nobiltà, un ricordo di Dio. Il dolore è una cosa bestiale, feroce, banale e gratuita come l'aria".

In questo senso Mi mancherai moltissimo è il passo successivo.

"È un brano estremo. Mi sono messo nei panni, dolorosamente, di chi è sul punto di farla finita, immaginando le ultime parole che direbbe. Mi mancherai moltissimo, ad esempio. È il momento dilaniante e devastante nel quale l'addio confina anche con un atto d'amore".

Con Elodie ha cantato in Ex. In Arizona c'è Achille Lauro.

"Lui era la persona giusta per una canzone di passione che pulsa".

E invece Giorgia?

"Quando ho ascoltato il provino di Buio mi è subito venuta in mente lei perché credo che lì dentro ci sia anche il suo mondo".

A proposito, bella voce o autotune?

"Premetto che per me il virtuosismo vocale è spesso sterile. Però è anche vero che l'assenza totale di intonazione è un peccato, specialmente dal vivo. Io quando vado a un concerto, voglio sentire una bella voce".

Però è anche vero che la bella voce può essere creata anche dall'intelligenza artificiale

"Ma l'algoritmo o l'intelligenza artificiale non possono cogliere le sfumature, sono quelle che fanno la differenza".

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