Il Pd anti-Berlusconi spinge Di Pietro al centro

CAOS Tonino cerca di recuperare posizioni a sinistra dopo le uscite dell’alleato, ma si confonde: «Governo né catto né comunista, solo fascista»

Il Pd anti-Berlusconi spinge Di Pietro al centro

Ennò, dai. Il «clerico-fascista» no. Va bene tutto. Va bene che ti vesti da buon samaritano con gli assegni a tutti i disoccupati e va bene che subito dopo indossi i panni di Robin Hood con la tassa sui ricchi. Ma la trovata di dare a Berlusconi del «clerico-fascista» no, è stata un colpo basso. Quella avrebbe dovuto dirla Di Pietro, non Franceschini, e non è che ci si possano rubare le battute così, a tradimento. E invece, vedi. È passato solo un mesetto e già c’è da rimpiangere Walter Veltroni, ché a lui gli si poteva rinfacciare in continuazione che «l’unica opposizione la facciamo noi», e rubargli quel che restava dei suoi pochi voti era un gioco da ragazzi. E invece adesso, con Franceschini che fa il leggen-Dario, in casa Idv è sbando.
Antonio Di Pietro è spiazzato, tramortito. Si alza al mattino, va a Bari a fare un comizio e prova a riprendersi quel che era suo sparando sul «modello fascistoide del governo berlusconiano», ma non è che regga tanto, sa di copiato. Allora nella pausa pranzo si offre ai microfoni, pronto a scavalcare l’alleato, anni e anni di allenamento all’antiberlusconismo serviranno pure a tirar fuori i muscoli, no? E invece c’è un infido cronista che gli domanda come vede il suo futuro, il leader Idv, «ora che Franceschini dice cose di sinistra». Allora lui fa spallucce, nel vano tentativo di minimizzare la svolta democratica: «Se anche il Pd ha capito finalmente che bisogna fare squadra e opposizione seria, benvenuto e non è mai troppo tardi». Neanche il tempo di farsi venire in mente uno dei sempre utili slogan giustizialisti che tocca rispondere a un altro cronista: «Teme che un eventuale avvicinamento fra Pd e Udc possa tagliare fuori l’Idv?». Tonino si innervosisce. Prova a dire che «l’Idv sta con i cittadini e sempre più dimostra di fare una opposizione chiara nel linguaggio, determinata nell’azione e che si propone come una alternativa di governo», epperò non c’è niente da fare, non rende. Allora prova a sparare sul piano casa del governo, ma gli esce solo un trito: «È una trovata pubblicitaria». Riprova ancora, ma si avvita: «Ribadisco che questo governo è illiberale, né catto né comunista, ma solo un po’ fascista», ma il cattocomunista era Franceschini, Berlusconi era il clerico-fascista, lo corregge qualcuno. Insomma, confusione. La verità è che il nuovo segretario del Pd lo ha detto bello chiaro ai suoi, ancora ieri: dobbiamo riprenderci i voti di chi si è rifugiato nell’astensionismo, e dobbiamo riprenderci i voti di chi ha scelto Di Pietro. E ha dato il via a un’operazione tenaglia, attaccando il governo con la mano sinistra e dialogando con i centristi con la mano destra. Solo così si spiega la nuova versione che di Tonino si è vista ieri sera. Roba da stropicciarsi gli occhi davanti al telegiornale. Lui che giura: «Non ho una fissa per il giustizialismo». Strepitoso. E lui che lancia una proposta ecumenica che pare Pier Ferdinando Casini, anzi meglio, Gianfranco Fini: «Siamo disponibili a un patto di responsabilità istituzionale in materia economica e sociale con tutte le forze politiche di maggioranza e di opposizione, governo compreso. Affinché, a cominciare dagli ammortizzatori sociali, dagli incentivi alle piccole e medie imprese e soprattutto da un rilancio della questione meridionale, ci sia un impegno concreto per superare la crisi». Perché: «I governi non devono piacere, ma fare. E la politica del fare vuol dire non mettere sempre e solo veti, ma anche costruire insieme un piano». Inedito, ma non è tutto. C’è anche che, nella foga obbligata di spostarsi al centro, ieri Di Pietro è sconfinato a destra, votando in Commissione a favore del federalismo firmato Lega Nord. «Di Pietro segue la deriva demagogica della Lega e in commissione vota a favore del finto federalismo. Complimenti a Berlusconi per il nuovo acquisto del Popolo delle Libertà», s’è indignato il segretario nazionale Udc, Lorenzo Cesa. «Calderoli è riuscito solo a convincere Di Pietro: Dio li fa e li accoppia, vadano pure insieme mentre noi andiamo per la nostra strada» ha infierito Casini.
Del resto.

In un mondo in cui da destra Fini dice cose di sinistra «e non ci trovo nulla di male», e da sinistra il leader di Rifondazione Ferrero boccia la tassa sui ricchi con una frase di destra poi ripetuta da Berlusconi come «inutile elemosina», c’azzecca pure che Di Pietro passi dalla piazza giustizialista alla commissione federalista. «L’Italia dei Valori non va appresso alle battute e agli slogan» ha voluto precisare ieri Di Pietro. Ma rischia di finire con Jannacci: vengo anch’io, no tu no.

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