Il Pd fa la festa a Walter e il segretario scamiciato si inventa un talk show

Le smorfie tese di Veltroni chiudono una manifestazione all’insegna del flop. Sbuffi e sudore: sul palco cala il sipario

Avrà raccolto la sua valigetta, Walter. I fogli stropicciati con i promemoria (ricordarsi di insultare quel Giuda di Parisi, citare Obama, attribuire 10-15 colpe capitali a Berlusconi e lodare la chianina che siamo a Firenze), i volantini sdruciti e le ultime speranze di leadership. Poi avrà spento le ultime luci sui bicchieri vuoti e se ne sarà andato dagli stand democratici con il broncio dei dodicenni che abbandonano le fidanzatine del mare.
L’ultima giornata di agonia della Festa democratica o - per imitare Prince - la Festa-un-tempo-conosciuta-come-Festa-dell’Unità, si porta con sé nel feretro del centrosinistra le spoglie di un leader afflitto da un pessimismo cosmico che al confronto Montale e Leopardi erano spumeggianti come i Fichi d’India. Già, perché il Veltroni di questa «Estate a Firenze» che di vanziniano ha solo il mesto dar di gomito al popolino, pare il fantasma di se stesso. Dal «si può fare» del 2007 è passato a un sussurrato «non solo non si è potuto fare, ma se non mi sveglio me le fanno». Le scarpe, ovviamente. Quelle che Krusciov sbatteva sul tavolo e che Uòlter si fa lucidare prima di comparire in conferenza stampa.
E insomma, la sontuosa kermesse del Pd doveva essere una specie di Rinascimento delle coscienze critiche che rimettesse a nuovo gli animi avviliti di dirigenti ed elettori. Un lifting politico che facesse somigliare al David di Michelangelo perfino Bettini. E invece sul volto un tempo buonista di Veltroni si riconosce solo una vedovanza di recriminazioni penzolanti, mezze accuse e una rabbia canina contro i compagni che sbagliano. Perché al democratic party invece del gioco della bottiglia si è giocato allo schiaffo del soldato.
Si era partiti male, in balia del correntismo spinto. Si è arrivati peggio, senza il bagaglio di una linea comune, incazzati come api. Veltroni aveva pure cercato la via del pellegrinaggio statunitense dalla vergine nera Obama con effetto tragicomico. Erano lui, Vernetti, la Mongherini, Rutelli e Pistelli. Mancavano Ivan Pedrosa, Beniamino Vignola e il bassista dei Kiss. Bottino della missione demo-pluto-diplomatica alla convention? Un blog, un autografo di Matthew Modine, un hamburger (che poi il lampredotto fiorentino lo batte cento a uno) e un confronto con due o tre Kennedy. Obama non pervenuto. E inspiegabilmente - nonostante queste succulente premesse - gli elettori a Firenze non si sono accatastati gli uni sugli altri per godere dell’elettrizzante collegamento della delegazione da Denver. Il deserto dei Tartari ad aspettare i sorrisi di Veltroni da oltreoceano. Piuttosto la De Filippi in replica.
Pessimismo e fastidio, desolazione e sacrificio. Walter torna in Italia con le borse degli occhi piene di sogni interrotti e già rimpiange le «Vacanze romane» da sindaco, lontane da questo golgota fiorentino come Audrey Hepburn dalla Lecciso.
Un tempo terrazze, notti bianche, intellettuali che gli davano ragione. Ora gazebo, notti in bianco, alleati che gliele danno di santa ragione. Parisi sciacqua in Arno tutta la biancheria del Pd, silura Walter ed elogia il nemico Silvio. Va be’, non che ad ascoltarlo dal vivo ci fosse una gran platea: la letargia propositiva dell’intellighenzia democratica aveva già messo a dura prova la resistenza del pubblico e le sedie avevano già cominciato ad assumere la spettralità dei coriandoli a Natale. Eppure il fuoco amico non era previsto. Veltroni era pronto a un rientro tonitruante lancia in resta contro il Cavaliere. Ne aveva di fortissime sui vulcani di Villa Certosa e le corna ai politici esteri. Ma se le è raccontate da solo, a casa, mentre si curava le mazzate ricevute da tutti i dirigenti del Pd.
Eppure una carta l’aveva, il leader. Il comizio. Lì ti ascoltano, lì ti sfoghi. Sbandieri un paio di manifestazioni autunnali, inanelli un climax crescente tipo «riformismo-rinnovamento-cambiamento-futuro» e il gioco è fatto. La base ti segue. Però - per tagliare i ponti col lambrusco, le frittelle e gli avventori rubizzi coi baffoni sul volto e l’Internazionale nel cuore - il comizio lo si era bandito. Basta schizzi di saliva di relatori infoiati, le idee devono circolare sottovoce nei loft, possibilmente espresse con dizione da Accademia della Crusca e rotacismo très chic. D’altronde il confronto con la gente non è importante, no? Alle elezioni erano andati così forte che non serviva recuperare il rapporto diretto.

Molto meglio una coraggiosa intervista conclusiva a Enrico Mentana e un discorsetto di 50 minuti tra sudori, maniche di camicia e smorfie ansiogene all’assemblea costituente toscana. Per convincere la tristezza ad andar via, per recuperare l’altezza del discorso politico. Per la base, invece, c’è sempre tempo. Quella mica sparisce. Ma occhio che si sposta.

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