Il Pd nega la disfatta, D’Alema insulta i dissidenti

Parleranno «con una sola voce»: la sua. Durante il vertice di ieri con Fini e Rutelli, Pier Ferdinando Casini è stato chiaro: il «terzo polo» è lui, e solo lui. La batosta sulla fiducia, invece, è di Fini e tutta di Fini.
Del metodo con cui è stata condotta la battaglia finale contro il Cavaliere, il leader Udc condivide poco o nulla, e lo spiega anche pubblicamente: niente più «guerre di religione» contro Berlusconi, e d’ora in poi «andranno evitati i toni da giorno del giudizio» usati martedì alla Camera. Il riferimento non è certo a Di Pietro o al Pd: è interamente rivolto ai finiani e alle loro invettive «anti-Cav», del tutto «controproducenti e sbagliate» secondo gli esponenti Udc, che il giorno dopo non riescono a sembrare granché dolenti per la sconfitta numerica e politica subita dal presidente della Camera. Opposizione sì, per ora, ma molto «responsabile», e soprattutto «costruttiva». Il primo segnale si è visto ieri, sul decreto rifiuti: Udc e Fli si astengono, e la maggioranza va avanti tranquilla e serena. Tanto che su un emendamento finiano sostenuto da tutte le opposizioni, uno di quelli su cui fino a una settimana fa il governo cadeva di faccia ogni due per tre, il margine di vantaggio per Pdl-Lega è stato di ben 25 voti.
Casini, al momento, si sente ed è al centro di tutti i giochi. «Può permettersi di scegliere se fare il premier con noi del centrosinistra o con il centrodestra», scherza (ma non troppo) il Pd Francesco Boccia. Il leader Udc ha accettato la richiesta di Fini di organizzare un summit, per far vedere che lo schieramento «terzopolista» esiste ancora: un segnale con il quale il presidente della Camera spera di «tenere ancora i suoi», spiegano i centristi, e bloccare le fughe verso il Pdl. Ma in caso di eventuali elezioni anticipate, ha spiegato il leader Udc, non ci saranno generosi listoni: lui ballerà da solo, e non si caricherà sulle spalle decine di parlamentari uscenti di Fli, Api e Mpa vari. La pressione delle gerarchie cattoliche perché sia garantita la «stabilità» e la «governabilità», siglando un’intesa col premier, è intensa e Casini la sente. Così come sente quelle dei suoi quadri, già al governo con il Pdl in tante giunte. Ma la strada è ancora lunga e la trattativa con Berlusconi assai ardua. Anche perché la posta in gioco non può essere niente di meno che la futura leadership del centrodestra, nel 2013.
Ieri un autorevole dirigente della Lega assicurava a preoccupati interlocutori del Pd che «Bossi è assolutamente favorevole ad un accordo di legislatura con l’Udc e non vuole elezioni anticipate». I casiniani dicono che l’accordo con la Lega si troverebbe «anche domani», il problema «è trovarlo con Berlusconi». Nelle asperità della trattativa spera di infilarsi il Pd. «Ho parlato con Casini, mi ha assicurato che non andrà con Berlusconi. Sa che con noi può ottenere molto di più, da Palazzo Chigi al Quirinale», ha spiegato D’Alema ai suoi. Solo che a Casini non si può certo chiedere di allearsi con Di Pietro e Vendola.

«E, come dimostrano i sondaggi, solo il 20% dei nostri elettori vuole l’intesa con Casini e Fini: il restante 80% vuole la sinistra e l’Idv. Gli ex Ds possono divorziare da quell’80% della loro base?», si chiede sarcastico l’ex Ppi Fioroni. Domanda retorica, risposta scontata: «No».

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