Roma «Il Pd? Non si sa dove sia sparito», infieriva ieri Emma Bonino nello sciogliere gli indugi e candidarsi autonomamente, con le liste radicali, alla guida del Lazio.
Niente male come giudizio, da parte di colei che, con molte probabilità, finirà per essere la candidata del medesimo Pd alle Regionali. Già, perché, come confida un dirigente locale del principale partito di opposizione, «siamo messi talmente male che alla fine ci toccherà andare col cappello in mano a pregare la Bonino di accettare il nostro appoggio, non abbiamo altre soluzioni».
Per uscire finalmente dall’impasse, in cui i radicali hanno abilmente infilato il loro spariglio, è stato conferito ieri un «mandato esplorativo» a Nicola Zingaretti (che ha rifiutato di lasciare la Provincia di Roma per candidarsi, in assenza di un accordo con l’Udc), che dovrebbe «accertare le condizioni e la candidatura più idonee a costruire una nuova larga alleanza». La conclusione più probabile (prevista due mesi fa dall’inascoltato Bettini) è appunto che si finisca per convergere su Emma Bonino, che già ieri incassava numerosi sostegni nel centrosinistra e nello stesso Pd, come sfidante di Renata Polverini. Nel Lazio, dunque, il Pd non avrà un suo candidato. Ma in tutta Italia il partito è squassato da scontri interni o incartato in pasticci difficili da districare, strattonato a destra da Casini e a manca da Di Pietro. E le Regionali di primavera finiranno per diventare l’ennesima resa dei conti interna, nella quale il neo-segretario Bersani rischia grosso.
In Puglia, il leader Udc Casini dà il suo viatico, non esattamente beneaugurante: «Siamo pronti a perdere con Francesco Boccia, nella vita non si può sempre vincere». I dalemiani d’altronde erano certi che alla fine l’appoggio centrista ci sarebbe stato: «C’è da mesi un patto anti Cavaliere tra D’Alema, Casini e Fini - assicura uno di loro - che prevede che l’Udc sostenga la Polverini nel Lazio e il candidato Pd in Puglia». Di mezzo ci si è messo il governatore uscente Nichi Vendola, che non molla, e i cui supporter ieri sventolavano l’apertura di credito fatta da Di Pietro: «Nessun veto su Nichi». Anche se l’ex pm (ben sapendo che il Pd è diviso su Vendola e Boccia) si dice pronto a votare il candidato indicato dal Pd, «a patto che ci dica definitivamente chi è». Una cosa pare certa: se Vendola non farà il famoso «passo indietro», le primarie comunque non ci saranno: troppo rischiose.
In Campania (dove l’Udc andrà col centrodestra e la partita viene data per persa) è in corso una guerra tra Antonio Bassolino, che vuole indicare come proprio successore l’assessore regionale Ennio Cascetta, e il sindaco di Salerno Vincenzo De Luca, aspirante candidato, osteggiato anche dall’Idv. In Calabria la faida è ancor più sanguinosa, e tutta interna alla maggioranza bersaniana: l’uscente Loiero dovrà sfidare ben tre compagni di partito, tutti della stessa corrente, alle primarie del 17 gennaio: «C’è una sorta di congiura contro di me», accusa. Casini si è sfilato, e Di Pietro appoggia un altro candidato, l’imprenditore Callipo. Nel frattempo i sondaggi danno vincente il candidato del centrodestra Scopelliti.
Persino in Umbria, cuore del potere e del voto rosso, il Pd è nel caos. La governatrice dalemiana Rita Lorenzetti vuole correre per la terza volta (nonostante lo statuto Pd dica che non si può) e si candida alle primarie del 24 gennaio, i veltroniani mettono in pista l’ex tesoriere di Walter, Mauro Agostini; ai bordi di scaldano la dalemiana Catiuscia Marini e la fassiniana Marina Sereni. Ieri è saltata per eccesso di tensione interna la riunione della segreteria regionale che doveva mettere un punto fermo, e già molte voci si levano per chiedere di evitare le primarie e la guerra fratricida.
Bersani, rientrato ieri da New York, dovrà prendere in mano la situazione.
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