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IL PD SCOPRE IL CASO GIUSTIZIA MA SBAGLIA MIRA

Una cronaca di Repubblica sulla carcerazione, sulle dimissioni, sulla successiva scarcerazione del sindaco di Pescara Luciano D’Alfonso, si chiudeva con qualche riga dal tono intimidatorio: «Non ci vuole un indovino per prevedere, nelle prossime settimane, giorni assai complicati per gli uffici giudiziari di Pescara e per il giudice Luca De Ninis». Colpevoli, gli uffici e il giudice, d’aver gettato fango il 15 dicembre scorso sull’allora sindaco, ipotizzando a suo carico reati come l’associazione per delinquere, la corruzione, la truffa, la turbativa d’asta; e d’averlo poi messo fuori.
Il «caso» ha mosso a indignazione personaggi di spicco dello schieramento di sinistra, al quale il D’Alfonso appartiene. «Quanto è avvenuto a Pescara - parole di Walter Veltroni - è gravissimo, la vicenda ha implicazioni che meritano una riflessione più compiuta». Massimo Brutti, che è attualmente commissario del Pd in Abruzzo, trova «assolutamente sconcertante che il gip che ha ordinato l’arresto dopo 9 giorni abbia sconfessato se stesso». In un capovolgimento di ruoli al quale sicuramente non è estraneo il fatto che l’attuale tangentopoli investa il Pd e l’Italia dei valori, gli (ex) adoratori della magistratura l’hanno adesso in forte antipatia. (Per puntuale contrappasso personaggi del centrodestra, pur sottolineando il loro garantismo, riconoscono che in alcune toghe c’è del buono).
Vorrei tenermi fuori da volteggi che hanno le loro motivazioni nella politica più politicante, e sono propenso a concedere ai volteggianti molte attenuanti. Ma Veltroni e Brutti, sempre pronti ad imputare volgari rozzezze ai berlusconiani, sono stati nel loro attacco a un magistrato e a una procura non soltanto faziosi ma anche male informati. Giudici e Pm incorrono spesso e volentieri in negligenze imperdonabili, e invece perdonate. Il ricorso al carcere preventivo quando se ne potrebbe fare a meno - e il non ricorso quando sarebbe necessario - sono tra le colpe più frequenti dei Palazzacci. L’Italia è gremita di colpevoli a piede libero, le carceri sono gremite di presunti innocenti. Si abusa delle intercettazioni (peraltro a mio avviso indispensabili per molti reati, inclusi quelli di corruzione). Il lavoro - o l’ozio - dei gip e dei pm debbono essere tenuti sotto osservazione. Ma concedendo loro un margine di discrezionalità, che non dovrebbe ampliarsi o restringersi secondo che un provvedimento con implicazioni politiche piaccia o non piaccia alla propria parte.
Il gip contro il quale si scaglia il Pd ha cambiato parere sulla necessità di tenere in carcere D’Alfonso perché «con le dimissioni e con il commissariamento del Comune è venuto meno il pericolo di inquinamento probatorio». Tuttavia, insiste il gip De Ninis «il quadro accusatorio rimane confermato ed anzi sotto taluni aspetti rafforzato». Non è che questa opinione del gip sia il Verbo, potrà capitare che i successivi gradi di giudizio la modifichino o la cancellino. Si tratta d’aspettare un po’ - quante volte da sinistra, in altri tempi, sono venute queste esortazioni alla calma e alla saggezza - con la speranza che i successivi sviluppi dell’inchiesta chiariscano i punti oscuri. Saremo tutti contenti se D’Alfonso uscirà scagionato da questa vicenda, appartenente purtroppo a quell’area grigia del malcostume politico nella quale è arduo distinguere - vero Di Pietro? - tra scorrettezze e reati. Ma non siamo - è la mia personale convinzione - in presenza d’una persecuzione.

Oppure lo eravamo in innumerevoli altre occasioni, quando i Veltroni e i Brutti negavano sdegnati che persecuzione ci fosse.

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