Il Pd si ritrova ancora spaccato «Il premier? Ha vinto comunque»

ALTA TENSIONE Un dirigente del partito avverte: «Il Cavaliere rischia di raccogliere il 70% dei consensi grazie all’appoggio di Udc e teodem»

RomaLa linea di difesa del Quirinale e della Costituzione è l’unica frontiera su cui il Pd riesce a mostrarsi unito, nelle ore convulse che precedono il dibattito parlamentare sul provvedimento su Eluana. Ma a Largo del Nazareno Walter Veltroni e i suoi già sanno che quell’unità è destinata a infrangersi presto. «Dal suo punto di vista del tutto cinico, perché ovviamente l’ultima cosa che gli interessa è il destino della Englaro - spiega un dirigente di primo piano, chiedendo l’anonimato -, Berlusconi sa benissimo che tenendo duro in questo scontro riesce a dividere il Pd, che nel voto si spaccherà; a dividere le opposizioni, perché l’Udc si è schierata al suo fianco e a ottenere il voto del 70% del Parlamento in barba a Napolitano». Insomma, conclude: «Ne uscirà vincitore, almeno sul palcoscenico della politica, e anche se i sondaggi delle ultime ore dicono che la stragrande maggioranza dei cittadini sta con Beppino Englaro e il suo dolore».
Domani si riuniranno prima il coordinamento nazionale e poi l’assemblea del gruppo al Senato, e lì le divergenze interne sono destinate a venire alla luce. Perché sul merito della questione, e sulla leggina ad hoc che vuol imporre di riprendere la nutrizione artificiale della povera Eluana, e che ripropone pari pari il testo del decreto respinto dal capo dello Stato, le posizioni sono diverse. La micro-pattuglia dei teodem si è schierata armi e bagagli con Berlusconi, a favore del decreto prima e della legge poi. Con Paola Binetti che firma appelli anti-Quirinale sottobraccio a Formigoni e Gasparri. Ma tutta la componente cattolica del Pd è entrata in fibrillazione, agitata dal terrore di incorrere negli anatemi vaticani, di rompere con Casini lasciandogli la bandiera della “difesa della vita”, di essere trascinati su una linea laica dall’anima Ds. Ecco quindi fiorire distinguo e altolà: se da un lato il vicesegretario Dario Franceschini avverte che «i parlamentari cattolici del Pd ascolteranno la voce della Chiesa, poi decideranno, nel loro ruolo di legislatori senza indicazioni di voto, soltanto secondo la loro coscienza, rispettando il principio sacro della laicità dello Stato», dall’altro un gruppo di senatori post-Dc (Giaretta, Armato, Andria ed altri cinque) firmano una dichiarazione comune. E dopo aver assicurato il proprio «pieno rispetto» per il Colle e criticato il «metodo censurabile» usato da Berlusconi, affermano che «nel merito, l’alimentazione artificiale va necessariamente garantita al paziente fino alla fine della vita». Ergo: voteranno la legge di Berlusconi. L’ex Ppi Merlo, ma anche Arturo Parisi, avvertono che non potranno esserci indicazioni di voto: «Nessuna disciplina di partito». E non potrà essere diversamente, pena la spaccatura. Ma sul tavolo del coordinamento di lunedì finirà anche un’altra questione spinosa: manifestare o non manifestare? Le mobilitazioni improvvisate degli ultimi due giorni hanno mostrato come la questione sia sentita: le piazze, da Roma a Torino a Napoli, si sono riempite spontaneamente e oltre ogni previsione. Già Emma Bonino prima e Fabio Mussi poi hanno sfidato il Pd a organizzare una «grande manifestazione dei laici». Ieri è spuntato anche un appello sottoscritto da molti autorevoli dirigenti del Pd e intellettuali di area: dalla Bresso alla Mafai, da Chiamparino a Staino, i dalemiani Cuperlo e Pollastrini ma anche i veltroniani Cosentino e Concia.

Per chiedere appunto «un appuntamento nazionale unitario per la difesa della Costituzione e del valore della laicità». Ma il Pd non può permetterselo, pena la lacerazione: «Non è previsto nulla in questo senso», assicuravano ieri dal Nazareno.

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