Il Pd sogna ancora il «paradiso sovietico»

Il Partito democratico non è ancora nato e già una folta schiera di benpensanti di alto bordo ha la bella pensata di ancorarlo ai valori della Costituzione. Detta così, non ci sarebbe nulla da ridire. Ma il diavolo, si sa, si nasconde nei dettagli. Ed è per l’appunto quando i sullodati benpensanti scendono nei dettagli che c’è motivo di viva preoccupazione. Basta leggere il vibrante appello pubblicato da la Repubblica il 29 settembre per rendersene conto. La squadra di intellettuali che firma il manifesto si vede che in questi anni si è distratta. O non c’era o, se c’era, dormiva. Afferma infatti: «Ristabilire il principio della supremazia, certezza e stabilità della Costituzione - mettendo fine a una stagione di riforme di parte, imposte a colpi di maggioranza - è il primo impegno che l’Unione ha assunto nel programma elettorale del 2006».
Ora si dà il caso che le Camere abbiano approvato con i voti della sola maggioranza non solo la riforma costituzionale della Casa delle libertà ma, prima ancora, la modifica dei rapporti tra Stato e regioni codificati nel Titolo V della seconda parte della Carta. Che tra i tanti demeriti ha anche quello di aver alluvionato di ricorsi la Consulta. E il nostro massimo organo di garanzia ha avuto così il suo bel daffare per ripristinare un minimo di certezza del diritto. Ma il meglio del peggio gli autori del manifesto lo danno subito dopo. Quando si propongono di «mettere in sicurezza» la Costituzione grazie a una modifica dell’articolo 138. Con il risultato che nessuna riforma sarebbe possibile se non con maggioranze parlamentari ancor più qualificate di quelle previste attualmente. Davvero una bella pretesa quella di ancorare le generazioni future al volere di quelle passate. Solo dei conservatori costituzionali incalliti possono ritenere sensata una cosa del genere.
Appena il giorno dopo, come il notaio di Arbore, Walter Veltroni conferma: «Il Pd farà scudo alla Costituzione». Novello Zelig, il sindaco di Roma come una spugna assorbe voracemente le idee altrui. E ci tiene ad atteggiarsi a politicamente corretto. Per non fare la figura del codino, recita il blablablà di prammatica. Dichiara infatti che quell’Ufo del Pd «dovrà ispirare il suo impegno per l’adeguamento della seconda parte della Carta, attraverso un definito ma coraggioso programma di riforme costituzionali». E qui, con rispetto parlando, casca l’asino. Per cominciare, per non logorarsi le meningi il buon Walter recepisce in definitiva la riforma costituzionale del centrodestra, così calunniata dall’Unione da essere bocciata nel referendum confermativo. E poi con ogni evidenza sottintende che la prima parte della Costituzione va lasciata così com’è in saecula saeculorum.
Non è un caso, si badi. Si vuole preservare l’intera parte prima perché essa fu scritta in larga misura a quattro mani da socialcomunisti che magnificavano la Costituzione sovietica del 1936 e consideravano Stalin un benefattore dell’umanità, e da democristiani di sinistra che abbracciarono la cultura della resa. Tutte forze politiche delle quali i fondatori del Pd non fanno mistero di sentirsi eredi. Non a caso ben tre commissioni bicamerali - la Bozzi, la De Mita-Iotti e la D’Alema - si sono proposte di modificare la sola parte seconda della Costituzione. E perfino la riforma della Casa delle libertà ha avuto paura del coraggio e non ha oltrepassato le colonne d’Ercole dei principi fondamentali.

Eppure molto sarebbe da cambiare: dall’articolo 1, che fonda la Repubblica sul lavoro anziché sulle libertà e la dignità della persona, alla cosiddetta Costituzione economica, che interpretata in un certo modo sarebbe compatibile - orrore - con il «paradiso sovietico» del tempo che fu.
paoloarmaroli@tin.it

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