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Il Pd torna nelle mani di D’Alema: l’uomo che vince solo i congressi

È l’estate più triste per il Pd. Si fanno meno feste, il gruppo dirigente è spaccato a metà, la questione morale agitata per anni contro gli avversari l’opprime. Ma il male oscuro è questo clima di disincanto che nessuno riesce a contrastare. Il congresso è partito stancamente. Cercasi truppe disperatamente. I duellanti del Pd fanno i conti dei seguaci più fedeli ma si accorgono di essere sempre più soli. Se fino a settembre non si inventeranno qualcosa di nuovo, il congresso sarà affare per pochi e le primarie successive saranno un tragico flop. I due candidati maggiori non tirano. Franceschini ha alle spalle gli insuccessi propri e quelli di Veltroni. Bersani ha tanti estimatori ma non solleva entusiasmi. Ignazio Marino, dopo lo scandalo dei rimborsi spese gonfiati, ha visto crollare il suo appeal.
In molte regioni lo scontro è all’ultimo sangue e rivela crepe negli apparati. A Milano è lite nel cortile di casa dove il giovane Martina deve fare i conti con il fassiniano Emanuele Fiano passato con Franceschini come il suo capo. A Genova l’eurodeputato Sergio Cofferati divide il partito sulla propria candidatura a segretario regionale. In Puglia si è rotto l’asse Emiliano-D’Alema con l’ex premier che ha messo in campo l’inventore della Festa della Taranta, Sergio Blasi, sindaco di Melpignano, per fermare l’ascesa del sindaco di Bari. In Calabria bisognerà vedere se Marco Minniti, che ha appena tradito D’Alema passando con Franceschini, ne uscirà rafforzato o indebolito. Il duro braccio di ferro in periferia riguarda alcune centinaia di persone ma lascia indifferente l’opinione pubblica di sinistra.

Fuori del Pd c’è indifferenza assoluta attorno al destino del partito. Tace il sindacato, che si prepara a un autunno di licenziamenti e di cassa integrazione e scopre che il partito di riferimento si balocca con la storia delle escort. Il collateralismo fra partito e sindacato ha ceduto il passo a quello fra partito e Repubblica. È estraneo il mondo cooperativo che dal caso Unipol in poi ha praticamente divorziato dalla sinistra. È sempre più ostile la cosiddetta società civile che segue con sbalordimento e apprensione lo sviluppo degli scandali sanitari pugliesi e teme il crollo del mito Vendola.

Ma non tutti sono preoccupati per questa grande fuga degli iscritti e per l’indifferenza del mondo dei simpatizzanti. L’area che fa capo a D’Alema è sempre più sicura di sé. L’ammosciamento del veltronismo ha ridato fiato alle vecchie strutture di partito. Malgrado il tradimento di Fassino e di Minniti, i vecchi Ds stanno dimostrando una antica efficienza. Neppure questi anni dissennati sono riusciti a distruggere per intero una organizzazione di partito che non sa più vincere le elezioni ma può vincere un congresso. Lo scontro più aspro si è aperto nella componente ex popolare. Una nuova corrente di ex democristiani doc si è costituita per portare voti a Bersani. Mancano nomi di primo piano ma è scesa in campo una solida nomenclatura che da Oliviero Nicodemo in Calabria a Salvatore Ladu e Paolo Fadda in Sardegna è riuscita a radunare alcune centinaia di personaggi che costituiscono lo zoccolo duro della corrente di Marini.

Tutti voti in meno per Dario Franceschini che ha lanciato un estremo appello al mondo cattolico per trovare sostenitori. Tuttavia lo schema strategico del segretario si è notevolmente impoverito. Forte negli uffici romani ma debole in periferia, Franceschini ha scoperto che l’appoggio di Veltroni non è l’arma vincente per il congresso. Lo stesso appoggio di Rutelli e dei rutelliani si sta rivelando più teorico che pratico e Franceschini ha lanciato un appello all’associazionismo cattolico per ottenere da quel mondo i consensi che gli mancano. Ma si trova di fronte a una realtà che non è più quella di prima. Le più importanti organizzazioni cattoliche, come Comunione e liberazione, guardano a destra e se devono scegliere in candidato a cui si sentono più vicini pensano a Pierluigi Bersani che con Cl ha costruito un solido rapporto. Poi sul fronte bersaniano militano due dirigenti ex popolari come Rosy Bindi e Enrico Letta che sono assai più rappresentativi per i cattolici di sinistra della truppa movimentista dei franceschiniani.

La verità è che questo avvio stentato del congresso del Pd sta seppellendo l’idea di partito su cui si era fondata sia l’avventura veltroniana sia quella di Franceschini. Il partito a vocazione maggioritaria è morto da un pezzo. L’evanescenza della leadership ha fatto crollare il sogno del partito simil-berlusconiano sul fronte del centrosinistra. Negli ultimi mesi si stanno ricreando le condizioni del partito a struttura pesante. Nel Nord il divorzio fra il Pd e vasti settori di opinione pubblica ha seppellito l’idea del partito dei cittadini e dei gazebo. Al Centro la concorrenza della Lega sta spingendo le vecchie organizzazioni che vengono da una storia di sinistra a ritrovare gli antichi automatismi di partito. Al Sud le antiche clientele, assediate da movimenti autonomisti e dalla concorrenza di Di Pietro e di Casini, stanno cercando di sopravvivere mettendosi sotto l’ala protettrice di D’Alema. Il congresso l’ha già vinto lui.

Quel che non si capisce è che cosa abbia vinto.

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