In realtà, in queste ore, il sindaco continua a ripetere a tutti i suoi interlocutori che la sua aspirazione sarebbe quella di non abbandonare il Campidoglio, di scegliersi due vice (uno dei quali sembra ormai designato, Dario Franceschini), di ottenere la garanzia di un impegno per una riforma elettorale che diminuisca il rischio dell’instabilità. Quando di nuovo viene raggiunto dai giornalisti spiega ancora: «Scegliere se partecipare o meno alle primarie per la leadership del Pd non è una cosa di poco conto, né politicamente né personalmente: non sono passeggiate ed è giusto ascoltare e raccogliere opinioni. Quale che sia il ruolo che avrò - aggiunge - se potrò continuare a dare una mano a questa prospettiva alla quale credo e che considero vitale per il destino dell’Italia, lo farò. In ogni caso - conclude - la prima cosa da fare è risvegliare l’orgoglio, la speranza, la voglia di dar vita a questa grandissima risorsa per la società italiana».
Il vero problema è che malgrado una comprensibile euforia degli elettori che continuano a indicarlo come il leader ideale, una investitura così anticipata crea diversi problemi nella coalizione e fuori. Il possibile «dualismo» con Romano Prodi, per esempio (non è un caso che nessun prodiano abbia rilasciato dichiarazioni entusiastiche in materia), il ricollocamento di Piero Fassino (per lui forse ci sarà un posto da vicepremier) e il problema di gestire due cariche così complesse («Alla Chirac», come dicono oggi in Campidoglio).
Ieri alla Camera Franco Giordano gli spalancava metaforicamente le porte: «La sua è, mi pare, la più forte delle candidature in campo, certo la sua designazione a leader di tutta la coalizione potrebbe avvenire solo con un percorso di primarie condiviso da tutti». E Fausto Bertinotti rimarcava: «Ha consenso e un profilo politico innovativo. Spetta ai militanti del Pd dare la risposta».
Ma per quel che riguarda Roma, un avversario come Gianni Alemanno ha già posto dei paletti: «Non è infatti pensabile - sostiene l’ex sfidante per la prima poltrona capitolina - che Veltroni mantenga a lungo il doppio ruolo di Sindaco e di segretario del Pd: la nostra città ha già molti e crescenti problemi».
E persino dentro il centrosinistra c’è chi non nasconde le perplessità sulla sovrapposizione dei leader: «Se si fosse scelto un segretario con un altro profilo, la convivenza con Prodi poteva esserci, ma se la direzione del Pd viene assunta da una personalità forte come Veltroni è evidente che c’è un problema che si crea, una forte dicotomia».
E un altro segnale che tutto non sarà un idillio è quello del deputato ulivista Franco Monaco, che non rinuncia al sarcasmo: «Mi chiedo dove siano finiti tutti i candidati annunciati alla segreteria del partito democratico, e mi auguro che il ministro Bersani sciolga positivamente la sua riserva». Poi, più serio: «Non è un buon servizio reso al partito democratico e allo stesso Veltroni quello di chi si precipita a dargli sostegno prima e a prescindere dalla conoscenza di una sua piattaforma politica che, se piacesse a tutti, rischierebbe di non sciogliere nessun nodo politico, programmatico e istituzionale e di privare i cittadini del diritto-potere di scegliere non un’icona ma una politica».
Mentre Silvio Berlusconi non ha dubbi, e in una riunione a Palazzo Grazioli con i vertici azzurri spiega ai suoi: «L’investitura di Walter Veltroni è il chiaro segnale che stanno pensando al voto». E spiega: «Non lo possono certo far cuocere - spiega - se lo lasciano più di un anno così lo bruciano», ecco perchè, aggiunge, «la convinzione è che si vada alle elezioni ad aprile del 2008».
Spiega il Cavaliere in queste ore: «Non sono per nulla preoccupato.
Quella del centrosinistra - aggiunge secondo quanto riferisce chi ha avuto modo di parlargli, - è la mossa della «disperazione e, in ogni caso, anche con Veltroni come leader per recuperare il distacco che hanno gli servirebbe un miracolo!».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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