Politica

Il Pdci: inutile votare se c’è l’ok di Hezbollah

Il segretario Diliberto: «La missione in Libano può partire subito, anche senza l’avallo del Parlamento». Ma Prodi frena: «Aspetterò il via libera dalle Camere»

Emanuela Fontana

da Roma

La chiamata alle armi, pur all’interno di una missione di pace, arriva da un personaggio politico al di fuori di ogni sospetto di eccesso interventista. Eppure sull’invio di un massiccio contingente italiano che potrebbe arrivare ai 3mila militari con la forza d’interposizione dell’Onu nel conflitto israelo-libanese, accadono imprevedibili ribaltamenti di fronti e di pensiero politico. Il leader del Pdci, Oliviero Diliberto, dichiara che il Parlamento è inutile in una simile decisione perché la missione per il Libano deve partire senza se e senza ma. E tutto il partito sostiene convintamente l’invio dopo i recenti mal di pancia sul ruolo italiano in Afghanistan. I malumori, questa volta, si alzano in Rifondazione comunista, più o meno dagli stessi oppositori della missione afghana, anche se il capogruppo alla Camera, Gennaro Migliore, ha stroncato ogni dibattito interno: i dissidenti sono solo «un rumore di fondo», li ha zittiti.
C’è un concetto, però, che da Rifondazione sembra essere sottolineato con insistenza in queste ore, ed è quello delle regole d’ingaggio. Definire l’assetto dei nostri soldati di fronte a un'aggressione, e dunque la natura della missione, è la parte più delicata dell’accordo politico e appare ora il nodo del dibattito interno al centrosinistra. Tanto che il presidente dei senatori del Prc Giovanni Russo Spena si accoda a Diliberto quando dice che è addirittura «strumentale» la discussione delle regole d’ingaggio «in Parlamento».
Parte comunque all’insegna dello scavalcamento dell’aula l’insolita linea dei Comunisti Italiani, e dunque della sinistra più radicale sulla questione Libano. Una linea che Romano Prodi ha corretto immediatamente ieri da Castiglion della Pescaia quando ha spiegato che il governo vuole essere «pronto subito dopo il voto del Parlamento».
Per Diliberto tanto entusiasmo è giustificato dal fatto che «con l’assenso di Hezbollah» la missione diventa «di pace»: «C’era il rischio - spiega Diliberto - che ai nostri soldati venisse conferito il mandato di disarmarli, come dire mandarli a fare la guerra. In quel caso noi del Pdci avremmo votato sicuramente contro».
Ma l’intero conflitto, a parere del segretario dei Comunisti italiani, ha illuminato la figura del leader degli hezbollah Hassan Nasrallah, suo caro amico: «L’effetto di questa guerra atroce è stato quello di consegnare a Nasrallah una sorta di primato: oggi è per il Libano e per il mondo arabo un vero punto di riferimento».
Secondo Diliberto, data la «natura della missione», è sufficiente «la riunione congiunta delle commissioni Esteri e Difesa». Anche perché, spiega, «ora la posizione italiana è percepita come equivicina: non siamo più filoamericani che vanno lì a difendere una potenza straniera». L’obbiettivo dei Comunisti italiani però è che questa missione consenta il disimpegno di «militari della missione Nato in Afghanistan proprio per impegnarli come forze di pace in Libano».
I pochi paletti dunque arrivano per ora solo dall’interno di Rifondazione. Il senatore del Prc Claudio Grassi, già dissidente nel dibattito sul decreto di rifinanziamento della missione italiana in Afghanistan, chiarisce: «Per quanto mi riguarda non sono contrario a una forza di interposizione, ma di questo si deve trattare. Il contingente deve avere cioè delle regole d’ingaggio, senza una caratterizzazione prevalentemente militare. Il ruolo di pace si esercita con compiti di difesa del territorio, dei confini e della popolazione». Prima di inviare «una forza di pace», è necessario comunque, secondo Grassi, «far cessare ogni azione militare».
Un segnale della difficoltà sulla definizione delle regole d’ingaggio del nostro contingente lo offre un rappresentante più allineato del partito di Bertinotti, il presidente dei senatori Russo Spena: «È sicuramente una missione difficile ammette - ma mi sembra strumentale discutere le regole di ingaggio in Parlamento».

La discussione verrà presa «a livello internazionale».

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