Pedofilia, indagato suicida: «È l’unica soluzione»

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Mariateresa Conti

da Palermo

Non ha retto alla vergogna, anche se il suo nome non era stato reso pubblico. Ha deciso di togliersi la vita perché, come ha spiegato in un messaggio lasciato ai genitori, alla fidanzata e agli amici più cari, «per questo mio errore l’unica soluzione è la morte». Esce di scena uno dei 186 indagati dell’inchiesta «Video privé», il blitz con cui qualche giorno fa la Procura di Siracusa ha smantellato un vasto giro di pedopornografia via Internet, individuando un sito italiano - attivo per soli nove giorni e non accessibile casualmente - contenente video di abusi e violenze inenarrabili su bambine del Sud-Est asiatico tra i 4 e gli 8 anni. L’uomo, un giovane pugliese di 30 anni gestore di una palestra, si è impiccato. Un gesto disperato, nel timore di poter essere riconosciuto. Ma anche il modo per «gridare» la propria innocenza. Il giovane - accusato anche di avere piazzato delle videocamere nascoste nelle toilette riservate alle donne della palestra - ha ammesso di aver scaricato qualche video da quel sito, ma ha negato di essere un pedofilo.
Un dramma, che ha scatenato una ridda di polemiche sul diritto alla privacy di indagati per reati così gravi. La Procura di Siracusa respinge ogni responsabilità, dal momento che nessun nome è stato fatto. «Sono più che rammaricato e addolorato per il suicidio dell’indagato della provincia di Foggia - ha dichiarato il procuratore aggiunto di Siracusa, Giuseppe Toscano - vicende come queste sono dietro l’angolo in tutti i casi di cui ci occupiamo, non a caso sono agli atti alcune mie raccomandazioni rivolte agli investigatori e ai sostituti procuratori per il rispetto della riservatezza degli indagati».
Una cautela che si è rivelata insufficiente, a dispetto della vastità territoriale del blitz, che ha coinvolto globalmente sedici regioni italiani. Nei giorni scorsi, quando i contorni dell’operazione contro la pedopornografia via Internet sono stati resi noti, era stata data solo qualche informazione di massima sul ruolo pubblico di alcuni degli indagati. In particolare i riflettori si erano comprensibilmente accesi su due amministratori - un sindaco e un assessore - e su tre sacerdoti. Proprio a proposito dei preti arriva una precisazione dall’arcidiocesi di Palermo, che smentisce in modo assoluto che uno degli uomini di chiesa coinvolti - quello che ha già chiesto il patteggiamento - sia in servizio nel capoluogo siciliano o in provincia.

«La curia arcivescovile di Palermo - recita la nota diramata dal vescovo ausiliare monsignor Salvatore Di Cristina - mentre interpreta lo stupore e l’angoscia dei figli più sensibili della Chiesa italiana per la dolorosa notizia, sente il dovere di rassicurare la comunità cattolica palermitana escludendo categoricamente che la notizia in questione riguardi sacerdoti cattolici della nostra Arcidiocesi».

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