Roma - Una gerarchia cattolica che tace, copre, insabbia. Che per paura degli scandali non punisce i pret i colpevoli di abusi sessuali. Che li lascia a contatto con i fedeli e con i bambini. Che chiude gli occhi davanti a un fenomeno talmente radicato e devastante da domandarsi se non vi siano uomini che scelgono la strada del sacerdozio proprio per poter avvicinare le loro vittime. È un quadro sconcertante quello dipinto in questa intervista al Giornale dal magistrato che da più tempo in Italia si occupa di abusi sessuali: Pietro Forno, procuratore aggiunto della Repubblica a Milano, capo del pool specializzato in molestie e stupri.
Quanti sacerdoti ha inquisito
per reati sessuali?
«La lista, purtroppo, non
è corta».
E qual è stato l’atteggiamento
delle gerarchie ecclesiastiche?
«Devo dare atto che, una
volta iniziate le indagini,
non mi sono mai stati messi
ostacoli. Però le notizie positive
finiscono qui».
In che senso?
«Nel senso che nei tanti
anni in cui ho trattato l’argomento
non mi è mai, e
sottolineo mai, arrivata
una sola denuncia né da
parte di vescovi, né da parte
di singoli preti, e questo è
un po’ strano. La magistratura
quando arriva a inquisire
un sacerdote per questi
reati ci deve arrivare da sola,
con le sue forze. E lo fa in
genere sulla base di denunce
di familiari della vittima,
che si rivolgono all’autorità
giudiziaria dopo che si sono
rivolti all’autorità religiosa,
e questa non ha fatto
assolutamente niente».
Ma i vescovi non hanno
l’obbligo di denunciare i
preti che sbagliano.
«È vero che non esiste un
obbligo formale di denunciada
parte dell’autorità ecclesiastica,
perché un vescovo
non èun pubblico ufficiale.
Quindi il vescovo
che tace non commette il reato
che commetterebbe un
preside che tacesse. È anche
veroche qualunque cittadino
- soprattutto quandoè
investito di un’autorità
odi un’autorevolezza particolari
- quando viene a sapere
di un reato per cui si
può procedere d’ufficio ha
la possibilità di denunciare,
e direi il dovere morale.
Questo non avviene mai.
Mai. È un punto dolente.
Noi come magistrati abbiamo
l’obbligo di informare
l’ordinario diocesano, ovvero
il vescovo, quando arrestiamoo
chiediamo il rinvio
a giudizio di un prete, e
lo abbiamo sempre rispettato.
Ma il contrario non mi è
mai accaduto. Non ho mai
ricevuto dalle gerarchie cattoliche
una sola denuncia
nei confronti di un prete o
di un altro sottoposto al
controllo vescovile, come
un sacrestano, un educatore,
un chierichetto».
Perché? Nonsanno quello
che accade nelle loro parrocchie?
O lo sanno e preferiscono
tacere?
«Io sono convinto che loro
sappiano molto più di quello
che sappiamo noi. Ma c’è
un problema a monte, ed è
cosa significa l’abuso sessuale
da parte di un sacerdote.
E qui mi permetto di
dire una cosa di cui in questi
giorni non si è parlato,
nelle tante discussioni sul
temadegli abusi sessuali all’interno
della Chiesa. Il discorso
viene spesso liquidato
come un problema di pedofilia.
Mail prete che abusa
di un bambino è più paragonabile
aungenitore incestuoso
che a un pedofilo di
strada che insidia i bambini
ai giardinetti. Bisogna
partire da un dato di fatto: il
sacerdote ha un enorme potere
spirituale, tanto che
spesso viene chiamato “padre”,
e questo è significativo.
Seguardiamo questi episodi
in senso non biologico
ma spirituale e morale, ci
troviamo di fronte più a un
abuso incestuoso che a un
classico stupro. Ricordo
che anche nelle cronache
di questi giorni si parla di
atti avvenuti in confessionale.
E io mi chiedo: perché
proprio in confessionale?
Perché proprio in quel luogo
e in quel momento? Perché
è in quel momento che
più intensamente il sacerdote
si presenta come rappresentante
di Dio. È stato
condannato a Milano un sacerdote
che nel confessare
ragazze di quattordici o
quindici anni le faceva spogliare
e le palpeggiava dicendo
“lo vuole Gesù”. Ecco,
il concetto del “lo vuole
Gesù” è il punto d’arrivo
dell’incesto spirituale».
Quali sono le ripercussioni
sulle vittime?
«Sono esperienze che marchiano
in profondità le vittime
per tutta la vita, proprio
per le figure da cui provengono.
Io ho in mano un documento della
Chiesa canadese
che negli anni Novanta
è stata la prima a fare una
indagine interna e ha scoperto
che il 5 per cento del
clero canadese ha queste
tendenze. Il 5 per cento! In
quel documento si ricostruiscono
le conseguenze devastanti
che questi avvenimenti
hanno sulle vittime,
si ricostruiscono persino i
loro percorsi religiosi, e si
vede che spesso abbandonano
la Chiesa e si formano
una immagine di Dio molto
simile a quella dei loro abusanti».
Perché sono così numerosi
questi casi?
«Io ormai ho un dubbio, e
parlo solo di dubbio perché
non posso avere riscontri
diretti: che ci siano sacerdoti
che scelgono di fare i sacerdoti
per abusare, perché
è oggettivo che nella scelta
del sacerdozio c’è un’enorme facilitazione
nell’avvicinarele
vittime. Eppure compiono
tutto il percorso formativo
fino a venire messi a
contatto con i ragazzi. Questo
pone un grosso interrogativo:
ma nessuno se n’è
accorto prima? Dov’è il discernimento
spirituale che
dovrebbero esercitare coloro che
li scelgono? Non hanno osservato
il loro comportamento,
le loro tendenze,
le modalità con le quali si
rapportano ai giovani? E
un’ultima domanda: cosa
accade all’interno dei seminari?».
Se le cose stanno come le
descrive lei, siamo di fronte
aunfenomeno di indulgenza,
se non di omertà,
da parte delle gerarchie.
Teme che in fondo questi
siano considerati peccati
veniali?
«Nessun teologo può avere
l’ardire di sostenere che si
tratti di un peccato veniale,
tanto che questi sono tra i
pochi casi per cui il diritto
canonico prevede la riduzione
allo stato laicale. Eppure
nessuno di questi sacerdoti
ha mai subito questa
punizione. Neanche
quello che diceva alle sue
vittime “lo vuole Gesù”».
La riduzione allo stato laicale
può essere una soluzione
estrema. Magari
prendono misure più blande.
«Io convengo chela riduzione
allo stato laicale sia indubbiamente
una sanzione
grave, ma di fronte alla
gravità di queste cose non
credo che si debba essere indulgenti.
Invece non solo
non vengono cacciati ma accade
a volte che non vengano
nemmeno messi in condizioni
di non nuocere più.
Quando hanno queste notizie
si limitano a spostarli da
una parrocchia all’altra, e
così gli permettono di fare
altre vittime inconsapevoli,
perché quando la piazza
è bruciata gli consentono
di andare dove non li conoscono».
Come se lo spiega?
«Lo chieda a loro. Non alla
Chiesa, ma alla gerarchia
ecclesiale. Della Chiesa fanno
parte anche i fedeli, e
molti di loro - tra cui il sottoscritto
- la pensano diversamente.
Il problema è la gerarchia.
Secondo me non li
puniscono perché li hanno
scelti loro, educati loro, allevati
loro, e quindi si creano
dei legami di difesa, di
protezione. E c’è soprattutto
la paura dello scandalo.
Cheè una paura pocoevangelica,
perché il Vangelo dice
invece che è necessario
che gli scandali avvengano.
È una paura poco cristiana,
insomma»
Adesso le sembra che qualcosa
stia cambiando? Che
stiano correndo ai ripari?
«Nel 2000 scrissi suunarivista
giuridica che esisteva
un problema di pedofilia
nella Chiesa, e un sacerdote
che va per la maggiore mi
replicò negando semplicemente
l’esistenza del problema.
Adesso quello stesso
sacerdote riconosce che
questo dramma è reale. Meglio
tardi che mai, mi vien
da dire.
Secondo me non la chiameranno.
«Lei dice?».
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