Lecco - Incassa un colpo dietro l’altro, ma non è più il tempo delle proteste urlate. Ora Beppino Englaro ostenta serenità: «La mia battaglia è terminata con la sentenza della Corte d’appello». Quella che ha messo nero su bianco il «permesso» di far scivolare la figlia Eluana dallo stato vegetativo alla morte, dopo sedici anni di attesa.
E da altrettanti anni papà Beppino mostra la stessa incrollabile determinazione. Anche ora, si è preso lui l’incarico di fare di persona il giro delle cliniche e degli ospedali per chiedere se c’è qualcuno con il coraggio di eseguire la sentenza. Ufficialmente, per ora, i no sono stati solo due. Quello dell’ospedale «Manzoni» di Lecco e quello della «Beato Luigi Talamoni», la casa di cura lecchese dove Eluana è ancora ricoverata e accudita dalle suore. Ma Englaro aveva cominciato la sua ricerca già a luglio quando la Corte d’appello aveva annunciato che la sua lunga battaglia era finita e lui aveva chiesto: «Ora si spengano i riflettori, questa torna a essere una storia privata». Ma non è andata così, perché ormai, suo malgrado, la vicenda di Eluana è diventata un simbolo. E la sentenza va concretizzata con la sospensione della nutrizione e dell’idratazione. Un gesto che è difficile ridurre a semplice adempimento burocratico.
E così il calvario di Beppino si è trasformato in pellegrinaggio. «Ha chiesto anche in Toscana», dice uno dei suoi legali, Franca Alessio. Ma neanche il tempo di far girare la notizia che dall’assessore toscano per il Diritto alla salute Enrico Rossi arriva lo stop: «Eluana è in Lombardia, si trovi lì una soluzione. Qualora arrivasse una richiesta di assistenza, ci comporteremmo secondo le leggi e secondo principi di umanità. Chiederemmo, però, che si documentino le ragioni della mancata assistenza nelle strutture più vicine a quelle in cui ora è ricoverata la giovane».
Se non è una porta chiusa poco ci manca. Ma non basta a fermare un padre che a 67 anni si ritrova ad aver speso in questa lotta quasi un quarto della sua vita: «Abbiamo la sentenza dalla nostra parte, tutto il resto sono solo schermaglie legali. Per questo non voglio più entrare nel merito e lascio che siano gli avvocati a trovare soluzioni a questi ostacoli. Di sicuro andremo fino in fondo».
E mentre prepara le valigie, pronto a partire per cercare un nuovo possibile punto d’approdo per il suo viaggio di ospedale in ospedale, Englaro si aggrappa a una speranza, che per lui è una certezza: questa storia non durerà altri dieci anni: «La Corte d'appello ha disposto la sospensione della nutrizione e dell'idratazione. Il decreto va eseguito, questo è un obiettivo che non perdiamo mai di vista». Il suo legale, Vittorio Angiolini, lo rincuora, ripete ancora e ancora il punto fermo della posizione di Englaro, la pronuncia «non più impugnabile» della Corte di cassazione sul fatto che «idratazione e nutrizione sono trattamenti sanitari». Dunque non possono essere imposti contro la volontà dell’individuo. Ma, ammette, Angiolini, «la fase è delicata».
I riflettori non si sono spenti. Non è ancora possibile lasciare libero sfogo ai sentimenti di padre. È ancora l’ora degli appelli e delle prese di posizione.
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