Penati «graziato»: per un cavillo del gip sfugge alle manette

MilanoIl pesce grosso è salvo. Perché in carcere finiscono Pasqualino Di Leva, ex assessore comunale all’Edilizia di Sesto San Giovanni, e l’architetto Marco Magni. Ma lui no. Filippo Penati resta libero. Nonostante la richiesta d’arresto avanzata dalla Procura di Monza, che lo accusava di concorso in concussione. Il gip Anna Magelli, infatti, ha riformulato il reato. Non concussione, ma corruzione. E tanto basta. Perché gli episodi contestati all’ex sindaco di Sesto, presidente della Provincia di Milano e vicepresidente del Consiglio regionale della Lombardia sono «numerosi e gravissimi», ma ormai sepolti dalla prescrizione. E come Penati, evita le manette anche il suo ex braccio destro Giordano Vimercati. Il presunto vortice di mazzette, infatti, si sarebbe consumato per lo più fino al 2002, tra appalti per la riqualificazione dell’area ex Falck e della Ercole Marelli, la ristrutturazione del palazzo del ghiaccio di Sesto, e la soluzione delle controversie legali all’interno del Sitam, il sistema di trasporti pubblici dell’Alto milanese. Una palude vecchia di nove anni, e che secondo il gip non giustifica più alcuna misura cautelare.
Il quadro fornito dai pm Walter Mapelli e Franca Macchia, per i quali anche l’ex braccio destro di Pierluigi Bersani avrebbe dovuto finire agli arresti, dimostra comunque «l’esistenza di numerosi e gravissimi fatti di corruzione posti in essere da Filippo Penati e da Giordano Vimercati nell’epoca in cui questi rivestivano la qualifica di pubblici ufficiali prima presso il Comune di Sesto San Giovanni e poi presso la Provincia di Milano». Le prove, secondo il gip, ci sono. E tuttavia, «per quanto attiene ai fatti di corruzione posti in essere da Penati e da Vimercati si tratta di episodi che risalgono agli anni Novanta e agli anni dal 2000 al 2004, rispetto ai quali, pur in presenza dei prescritti requisiti dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, l’applicazione di qualsivoglia misura cautelare è preclusa dalla intervenuta causa di estinzione del reato rappresentata dal decorso del termine massimo di prescrizione». Penati salvo? Per ora. Perché non è escluso che, nei prossimi giorni, la Procura presenti un ricorso al tribunale del Riesame per chiedere che venga avvalorata la tesi della concussione. E, nel caso, la partita giudiziaria potrebbe riaprirsi.
Di sicuro, anche il gip insiste sul «sistema Sesto», fatto di tangenti e favori. Quello - scrive il giudice - «che ha contraddistinto per lungo tempo la gestione della cosa pubblica da parte di alcuni pubblici amministratori», quello «della pervicacia dimostrata dagli indagati nel perseverare nella loro illecita attività», e della «spiccata capacità a delinquere dei medesimi e dunque la loro pericolosità sociale». Tutto questo, insiste Magelli, «impedisce di formulare nei loro confronti quel minimo di fiducia sulla quale poggia la possibilità di applicare misure più blande che prevedono da parte degli indagati la spontanea osservanza delle prescrizioni imposte. Un analogo giudizio sfavorevole è allo stato l’unico formulabile anche con riferimento alla misura degli arresti domiciliari, che comunque prevede margini di libertà che allo stato male si attagliano alla necessità di tutela cautelare sopra descritta».
Gli arresti di Magni e Di Leva, dunque, sono stati disposti (sempre per corruzione) ma per episodi più recenti, compresi tra il 2006 e il 2008. Faccende di soldi versati da imprenditori in cambio di licenze edilizie e piani di interventi su ex aree industriali da riqualificare. Ma per Penati, il giudice ha ritenuto che la presunta mazzetta da 2 milioni di euro - sotto forma di caparra concessa nel 2008 dall’imprenditore Bruno Binasco a Di Caterina per un’opzione immobiliare lasciata scadere due anni dopo - non sia sufficiente a sostenere l’accusa di illecito finanziamento al partito. Quanto basta allo stesso Penati per esultare. «Oggi - dice - si sgretola e va ulteriormente in pezzi la credibilità dei miei accusatori.

Ora anche il gip ne ha riconosciuto l’inattendibilità, smentendoli nei fatti. Continuo a ribadire la mia totale estraneità ai fatti che mi sono addebitati. Più passa il tempo e più appare chiaro che le dichiarazioni dei miei accusatori sono false».

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