Pendolo Formigoni: «Il Cav lasci, anzi no»

nostro inviato a Rimini

È un Roberto Formigoni a tutto campo, quello che si muove tra i padiglioni del Meeting, entrando e uscendo dalle sue molte identità. Parla da ciellino doc quando è chiamato a confrontarsi sul tema dei cristiani in politica. Veste i panni del presidente di Regione quando lancia il suo affondo contro i tagli agli enti locali contenuti nella manovra. Ma soprattutto definisce in maniera sempre più netta il suo profilo di sfidante per la leadership del Pdl, lasciandosi sfuggire in una conversazione notturna con un gruppo di giornalisti qualche pensiero affilato sul futuro del centrodestra e sulle modalità della transizione verso il dopo-Berlusconi. Dichiarazioni informali rettificate la mattina dopo con un comunicato, smussate in un colloquio con Silvio Berlusconi e poi ulteriormente levigate e riportate su binari più istituzionali in una conferenza stampa.
La scintilla che accende il dibattito è una contestata frase formigoniana sulla necessità che il premier metta nero su bianco l’intenzione di fare un passo indietro nel 2013. «Se Berlusconi entro Natale annuncia con un messaggio televisivo che resterà alla guida del governo, ma non si ripresenterà candidato premier alle prossime elezioni, nel 2013 vinciamo noi. Ma questa deve essere una sua scelta perché io non posso neppure immaginare di “farlo fuori“. Per me pugnalare Silvio sarebbe come colpire un padre, ma ogni contatto con forze al di fuori della maggioranza che sarebbero disposte a tornare con noi si risolve nella domanda: con quale premier? In questo modo finiamo per consegnare il Paese al centrosinistra».
Nessuna richiesta di dimissioni, dunque. E, a suo dire, nessuna aperta conflittualità con Berlusconi. «Berlusconi ha capacità di leadership ed è ancora una risorsa per il Paese. Lo ribadisco: il governo deve proseguire il suo lavoro fino alla fine della legislatura» spiega Formigoni. «Chi chiede le dimissioni dell’esecutivo si dimostra politicamente irresponsabile perché una crisi di governo peggiorerebbe di dieci volte l’attuale situazione».
Per il governatore della Lombardia «Alfano ha le doti per essere il nostro candidato. Se io mi candido al governo nazionale? Non nego di avere una certa considerazione di me stesso» dice con ironia «ma non sono insano di mente. Il lavoro di premier è uno dei più ingrati che ci sia, non ho minimamente intenzione di avanzare la mia candidatura, la mia ambizione è dare una mano al rinnovamento del Pdl» aggiunge a sorpresa. «A me interessa il metodo con il quale si sceglierà Alfano o chiunque altro: serve una dialettica democratica».
Quanto al suo rapporto personale con il premier, «è ottimo e abbondante. Ho parlato di primarie con Berlusconi e lui ha obiettato sul termine perché ricorda quelle del Pd, preferendo parlare di elezioni popolari. Non sono Bruto che vuole assassinare il padre. Del resto quando Berlusconi parla del Pdl dice di aver costruito un partito nel quale anche lui possa andare in minoranza. Questo vuol dire che grazie a Berlusconi un partito monocratico è ora diventato pluralista e democratico. Sono sicuro che nel 2013 saprà fare le scelte giuste».
C’è un altro tema che Formigoni tocca nella conversazione informale con i giornalisti: le ragioni della sconfitta del centrodestra alle ultime elezioni amministrative. Quando gli viene chiesto se il caso Ruby abbia inciso, il governatore sposta il mirino su un’altra vicenda. «È stato peggio con la Minetti. In fondo gli italiani pensano che ognuno a casa sua possa fare quello che vuole, ma se c’è di mezzo un funzionario pubblico si arrabbiano». Gli viene obiettato che la Minetti è stata eletta proprio nel listino del presidente. «Per me e per tutti voi aveva partecipato solo a Colorado Cafè».


L’ultima è per un rilancio forte al tavolo del federalismo non solo con l’abolizione delle Province, ma anche con un dimezzamento delle Regioni. «Penso a un’unica macroregione con Piemonte e Veneto. Voglio proprio vedere se Cota e Zaia avranno il coraggio di dirmi no».

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