Puntuale. Preciso. A 87 anni tondi tondi. Tra pochi giorni Charles Aznavour pubblica il suo cinquantaseiesimo album in francese (ma se ci aggiungiamo quelli in inglese, tedesco, spagnolo e italiano andiamo oltre i cento). Una forza della natura. L’anno scorso, di questi tempi, passeggiando tra i quattrocento ulivi della sua villa L’Aigo Claro in Alta Provenza aveva detto che «ho già venti canzoni pronte, ma so già che nel prossimo disco ne userò al massimo dodici». Detto, fatto, ça va sans dire. Dodici. A proposito, il primo brano si intitola proprio Va ed è tipico Aznavour e, insieme con L’istinct du chasseur e La vie est faite de hasard, ossia L’istinto del cacciatore e La vita è fatta di possibilità, spiega bene perché nel 1946 Edith Piaf rimase senza fiato ascoltandolo cantare. Da allora non si è più fermato, dischi e dischi e dischi e poi concerti e film e, già che c’eravamo, nel 1998 Time l’ha consacrato miglior cantante del secolo. Una maratona che va avanti senza sosta da 65 anni filati. Per capirci, i Red Hot Chili Peppers (età media sotto i 50) tornano ora con un disco nuovo dopo due anni di vacanza perché, dice il bassista Flea, «ne avevamo molto bisogno». Invece Aznavour, che l’anno scorso si è esibito anche all’Acropoli di Atene e nella Piazza Rossa di Mosca, per festeggiare le nuove canzoni si concede dal sette settembre nientemeno che un mesetto di recital all’Olympia di Parigi. Piccolo particolare: la prima volta è salito su quel palco 55 anni fa, quando all’Eliseo c’era René Coty e de Gaulle era ancora di là da venire. «Se non oso, non canto», ha detto. Osa, osa. Ha cantato di perfide donne traditrici in Io fra di voi. Ha anticipato, allora!, ciò che oggi si chiama orgoglio gay in Quello che si dice. È stato così globale che la sua Com’è triste Venezia gliel’hanno cantata anche gli operai in una fabbrica di sigari a Cuba, mica dietro l’angolo. E a 87 anni, ancora in carica come ambasciatore dell’Armenia a Ginevra, sorride pensando ai nuovi cantanti che «hanno paura delle parole e di essere criticati».
Invece lui no.
Difatti non si imbarazza ad accennare lucidamente a Berlusconi di cui «non posso parlare che bene» anche se naturalmente «la diplomazia mi appartiene, la politica no», facendo spallucce se qualcuno in Italia malignamente ci sghignazza su, naturalmente per questioni politiche. Pensate, sul sito del Fatto hanno appena scritto che il Cav lo avrebbe pure pagato per cantare una sera a casa sua. Tutto può essere ma per favore quel cachet no: duecentocinquantamila euro è ormai un compenso da pesi medi, persino i Rolling Stones, che al suo confronto sono pivelli, per concerti privati chiedono due milioni sull’unghia. Insomma, Aznavour è piccolino, educato come solo può essere chi ha avuto paura di non esserlo abbastanza, e i suoi occhioni nerissimi hanno visto dolore prima ancora di aprirsi perché i suoi genitori erano orfani dell’Armenia insanguinata.
Però è tosto.
E nell’album Toujours, che aggiunge dodici canzoni alle mille che ha già composto, canta l’amore che è più furente quando finisce (Tu ne m’aimes plus), i viali del tramonto (Ce printemps-là), i rimpianti che, se non sfumano nelle frustrazioni, alla fine diventano fedeli compagni di vecchiaia (J’ai connu). E lo fa con la sua voce di eleganza innata, quasi misteriosa tanto è ancora precisa, ambrata dall’età ma più ancora dall’incredibile esperienza di chi canta da quando aveva nove anni, era il 1933, ristorantino dei suoi genitori in rue de la Huchette a due passi da Notre Dame. Se oggi passate dal suo profilo di Facebook, già pure Facebook, troverete commenti entusiasti, ma scritti da ragazzini perché, come conferma lo stesso Aznavour, «la gente impara a conoscermi quando inizia a conoscere l’amore». E il suo viso in copertina sull’ultimo numero di Paris Match è quello di un uomo felice con la nipotina in braccio. «In famiglia con Charles Aznavour nella sua casa in Provenza». Trascorre lì almeno quattro mesi all’anno, ha arredato quella enorme casa bianca con un (presunto) stile toscano perché piace a Ulla, che da quarantaquattro anni è la sua terza moglie, e appena può, cioè dall’alba al tramonto, si preoccupa dei suoi ulivi.
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