Pensioni agli onorevoli: ultimo bingo a spese nostre

Carissimo dottor Granzotto, ho letto su «Il Giornale» di giovedì 24 aprile l’inchiesta sulle vergognose pensioni degli «onorevoli trombati». Un esempio tra tutti: Pecoraro Scanio. Dopo non aver combinato niente di buono durante la sua intera permanenza in Parlamento, non viene condannato a fare qualcosa di finalmente utile come togliere l’immondizia nella sua città. No, gli viene consegnata una pensione di 8.836 euro. E lo scandalo cresce nel sapere la sua età: 49 anni. Il sottoscritto ha 79 anni e deve ancora lavorare per poter andare avanti un po’ degnamente. E come me, chissà quanti altri sono nella stessa situazione. Le chiedo allora, caro Granzotto, non sarebbe necessario indire un referendum affinché le pensioni degli onorevoli siano portate al livello di chi ha «sgobbato» tutta la vita?


La cuccagna è durata fin troppo, caro Rossi. Per dirla con Giovanni Prati, corda che troppo è tesa spezza se stessa e l’arco e siccome il Palazzo quella corda l’ha tesa oltre ogni limite, è ragionevole attendersi, di qui a poco, un severo ridimensionamento del numero dei parlamentari e delle loro retribuzioni, delle loro pensioni e dei loro innumerevoli privilegi e tornaconti. Però, se non sono fessi - e non lo sono -, deputati e senatori non aspetteranno che siano i cittadini a costringerli a procedere al giro di vite. Agiranno di propria iniziativa, sperando così di limitare i danni. Ma di farla franca, no, su quello non possono proprio contarci perché l’aria è cambiata, e non solo a causa di una generale insofferenza nei confronti della casta. Il 13 aprile abbiamo assistito a una sorta di ammutinamento alla manfrina politica dei vecchi partiti e alle filippiche di quel trancio della società detta civile che fin qui aveva fortemente condizionato larghi strati dell’opinione pubblica. A nulla è servito il rimpannucciarsi - l’abito non fa il monaco - in vesti obamian-clintoniane di Walter Veltroni. A nulla la conversione dei nostalgici della falce e martello, passati dai cancelli di Mirafiori all’Hard Rock Cafe di Via Veneto. Per non parlare poi della cilecca dei giornalisti che facevano tendenza, gli Scalfari, i Bocca, i Maltese, i Travaglio, i Colombo, i Lerner, i Santoro (con le principessine bionde al seguito), per citarne alcuni del mucchio. Tutta brava gente che conserva il titolo di maître, ché quello non si nega a nessuno. Però non più «à penser» perché il grosso del corpo elettorale s’è guardato bene dal seguirne le raccomandazioni, dal tener conto degli slogan, delle parole d’ordine. E l’elettore in libera uscita è una iattura per quanti avevano preso gusto a fare i burattinai.
Fino a ieri gli ottomila 836 euro (17 milioni e rotti di lire) che in virtù della momentanea permanenza in Parlamento Alfonso Pecoraro Scanio si cuccherà ogni mese potevano essere considerati, alla peggio, un discutibile privilegio. Oggi no, oggi sono uno scandalo, una faccenda contraria alla morale, alla decenza, al senso di giustizia. Scandalo che deve finire e finirà, caro Rossi.

A Pecoraro Scanio è andata bene. Ma sarà l’ultimo ad aver fatto bingo a spese nostre, a spese di uno come lei che a 79 anni deve ancora lavorare - lavorare sul serio - anche per permettere ai Pecorariscani, ai trombati, di spassarsela.

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