Pensioni, i sindacati sono pronti allo sciopero

Mentre il ministro del Lavoro butta acqua sul fuoco Padoa-Schioppa si oppone a modifiche della riforma

da Roma

Se sulle pensioni i sindacati si dovessero trovare di fronte «ad una mancanza di risposte o a risposte insoddisfacenti» non potranno che ricorrere ai tradizionali mezzi di pressione. E quindi a uno «sciopero o una mobilitazione». Dopo Guglielmo Epifani e Raffaele Bonanni, anche il segretario generale della Uil Luigi Angeletti ha lanciato il suo ultimatum al governo. E questa volta non è solo una protesta per la mancata convocazione a Palazzo Chigi. Angeletti ha tenuto a precisare che le tre principali confederazioni non faranno sconti all’esecutivo guidato da Romano Prodi. «Noi abbiamo fatto un documento. Per noi quella è una vera e propria piattaforma». E se «la controparte» la respingerà «ci comporteremo di conseguenza».
Un modo per ribadire che il sindacato non intende fare passare la revisione al ribasso dei coefficienti di trasformazione che si tradurrebbe in un abbassamento delle pensioni future, cioè quelle calcolate con il metodo contributivo. A indicare quale potrebbe essere il possibile compromesso è il segretario generale aggiunto della Cisl, Pierpaolo Baretta: «Siamo disponibili a discutere di un innalzamento dell’età in condizioni di flessibilità, ma del tutto indisponibili sui coefficienti».
Il ministro del Lavoro, Cesare Damiano, ha provato a buttare acqua sul fuoco: «Non credo che ci sarà bisogno di uno sciopero»; il tavolo «lo faremo», ha promesso. Nessuna parola su cosa stia facendo nel frattempo il governo. Anche perché dopo la crisi e i dodici punti di Prodi, la previdenza è diventata una faccenda di Palazzo Chigi. E del ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, al quale tocca rappresentare le ragioni dell’Unione Europea, contraria a modifiche alle riforme in vigore, come lo «scalone» della Maroni che l’esecutivo vuole eliminare. «Vorrei sapere la posizione del governo, non di Padoa-Schioppa», ha ribadito ieri il segretario della Cgil Epifani.
Il premier Romano Prodi si è mostrato tranquillo. E ha ridotto lo scontro alla questione della convocazione: «È solo un problema di trovare il calendario adatto, ma sarà fatto il più presto possibile», ha assicurato. Poi ha liquidato l’accusa mossa da Epifani alla concertazione fatta con le «cene a quattro» e alle politiche fiscali del centrosinistra come «una ribellione contro il menù, che mi sembra ingiustificata. Faremo riunioni rigorosamente senza cibo». Ironie che lasciano trasparire come il governo consideri le ultime uscite di Epifani poco più di contentini per tenere a bada l’ala sinistra del suo sindacato.
Ma il disagio cresce anche tra le sigle minori. «La verità è che manca la coesione nel governo», protesta il segretario generale della Cisal, Francesco Cavallaro. Se è solo una questione di calendario, osserva il segretario generale dell’Ugl Renata Polverini, «non si capisce perché tardino le convocazioni». Il motivo del ritardo, in realtà, è noto anche a tutti.

Il governo non intende muoversi prima della trimestrale di cassa. Fino a quando non avrà cifre ufficiali, per motivare i sì e i no alle parti sociali. Ma anche ai partiti della sinistra radicale che devono rispondere a una base sempre più inquieta.

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