da Roma
«Se non ci fosse stata Mirafiori...». Se non ci fossero stati i fischi degli operai Fiat a Guglielmo Epifani, oggi il problema delle pensioni sarebbe meno assillante per il governo. Prima della contestazione, infatti, la Cgil aveva segretamente assicurato lesecutivo - nella persona dellex segretario generale aggiunto Cesare Damiano, oggi ministro del Lavoro - che avrebbe accettato un leggero spostamento (da 57 a 58 anni) del limite minimo per il pensionamento di anzianità. Meno dei sessantanni previsti, a partire dal 2008, dallo «scalone Maroni», ma comunque unapertura che avrebbe consentito qualche risparmio di spesa previdenziale. Ma dopo i fischi, tutto è cambiato. «Ho visto a Mirafiori che gli operai non sopportano di stare al lavoro un giorno di più, figuriamoci tre anni», ha confessato Epifani.
Adesso la Cgil capeggia insieme con la sinistra radicale, Rifondazione e Comunisti italiani, il «fronte del no». E bolla come «provocazioni» le idee espresse da Tommaso Padoa-Schioppa, che in tivù ha parlato di un sistema di «incentivi e disincentivi» per allungare la vita lavorativa. «Il governo si prepara non a risolvere i problemi degli anziani e dei lavoratori, giovani e maturi, ma a fare ancora cassa, dopo aver incassato 5 miliardi di euro con laumento dei contributi previdenziali varato con la Finanziaria», dice la segretaria confederale Morena Piccinini. Ed Epifani rincara la dose: «Siamo contrari a rivedere i coefficienti di trasformazione: le nostre idee non collimano con quelle del Nucleo di valutazione del ministero del Lavoro».
Così Damiano e Padoa-Schioppa sono rimasti con un pugno di mosche in mano. E il negoziato, anziché cominciare in salita, rischia proprio di non partire. Neppure le contropartite ideate dai due ministri - aumento delle pensioni minime, ammortizzatori sociali, ammorbidimento della legge Biagi - appaiono ora sufficienti a superare il «no» della Cgil.
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