Perché la "Prima" avrà sempre un senso

La prima della Scala si svolge ogni anno, puntuale come il destino, la sera del 7 dicembre

Perché la "Prima" avrà sempre un senso

La prima della Scala si svolge ogni anno, puntuale come il destino, la sera del 7 dicembre. L'attesa dell'evento è accompagnata dalle solite chiacchiere: quelli che non ne vogliono sapere perché è tutta roba mondana; quelli che non sopportano le signore in lungo e i signori in smoking perché sembrano camerieri del Savini; quelli che non reggono la musica lirica, vecchia come il cucco e che non riflette le tematiche d'oggidì; quelli che, invece, pur criticando l'opera e soprattutto coloro che vi assistono, fanno il diavolo a quattro per ottenere, possibilmente di sfroso, un biglietto allo scopo di entrare nel grande teatro nazionale. In pratica i milanesi si dividono in due categorie: quelli che vanno alla prima della Scala e quelli che ci vorrebbero andare, ma non ne hanno i mezzi e fingono di disprezzarla. Quest'anno va in scena Giovanna d'Arco, e i pretendenti alla poltroncina, a un posto in loggione oppure in un palco sono una marea. Avrò ricevuto almeno trenta telefonate di amici supplicanti: tu che conosci tutti, mi procureresti - ovviamente gratis - un paio di ingressi? Ho buon gioco a rispondere negativamente: non sono direttore da anni e non conto più un tubo, figurati se riesco ad avere delle facilitazioni. Ci fu un tempo in cui, confesso, smaniavo per godermi la prima. E non avevo problemi a soddisfare il mio desiderio. L'ultima volta risale a un lustro fa. Era in programma il famoso dramma musicale di Richard Wagner, La valchiria. Mi presentai vestito in modo acconcio, cioè come il maître del Principe di Savoia, un quarto d'ora in anticipo rispetto all'inizio dello spettacolo. Il foyer era zeppo di dame profumate che esibivano abiti francamente ridicoli, alcuni dei quali con la coda utile per pulire il pavimento. Gli uomini erano impacciati quanto me, avvolti in smoking di foggia superata, la giacca sbottonata causa pinguedine ossia pancetta. Ciò era molto divertente, e io stesso contribuivo a renderlo tale col mio buffo costume da sera, per definire il quale ora si deve dire: cravatta nera. Cosicché un provinciale come me non capisce e si limita, in alcune circostanze, ad annodarsi al collo un papillon scuro convinto che basti per essere in linea con l'etichetta. Vabbè, transeat. L'orchestra attaccò: note maestose, vibranti che suscitavano emozioni forti. Pur non essendo un fenomenale appassionato di musica importante, riuscivo a seguire lo spartito e a gustarlo. Poi ho sentito un certo torpore, tipico di chi è in procinto di addormentarsi. Ammetto che avrei schiacciato volentieri un pisolino, ma in quel casino frastornante di strumenti in poderosa azione non era agevole abbandonarsi tra le braccia di Morfeo. Pertanto fui in grado di non chiudere occhio. Con sollievo, apprezzai la fine del primo atto e ne profittai per raggiungere di nuovo il foyer, ancora più affollato che in precedenza. Feci due passi con l'intento di guadagnare l'uscita e fumarmi in pace una sigaretta, quando alcune troupe televisive mi bloccarono. Pretendevano da me un commento su Wagner. Guardai sorpreso gli intervistatori e, non avendo il coraggio di mandarli a quel paese, inanellai una serie di luoghi comuni sull'autore della Valchiria. Fu una scelta saggia, la mia, perché nel frattempo era partito il secondo atto e non ebbi l'opportunità di rientrare in platea, essendo vietato disturbare l'orchestra allorché abbia ripreso a suonare.

Me la filai e feci sosta al bar di fronte onde brindare soddisfatto per essere sfuggito all'obbligo di sorbirmi l'opera intera. Ciò nonostante, considero la prima imperdibile soprattutto per chi l'abbia sempre persa. Provare per credere.

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