Perché il Colle «riparte» dalla Resistenza

La cultura originaria del presidente della Repubblica appare nei suoi discorsi alla Nazione in occasione dell’inizio del nuovo anno. La novità del discorso del presidente Napolitano è che si tratta del primo messaggio proveniente da un leader storico comunista, cioè da un uomo che ha incorporato la sua storia personale nel partito e ha percorso le tappe della sua evoluzione.
Usando una famosa espressione di Jürgen Habermas, quello di Napolitano è un «patriottismo della Costituzione». Questo è un fatto nuovo nei discorsi presidenziali, perché i precedenti capi di Stato erano stati cattolici, liberali o socialisti - abitualmente, le tre cose insieme - e perciò riconoscevano l’Italia come un valore avente una capacità obbligante che andava oltre il testo costituzionale.
Questo insistere sull’italianità come valore è stato proprio, in modo particolare, di due presidenti laici della Repubblica: Pertini e Ciampi. Il socialismo di Pertini era un «socialismo tricolore», motivato dalla lotta per liberare il Paese dal regime fascista, e in lui il tema nazionale fu prevalente su ogni altro tema. È sotto la guida di Pertini che, per la vittoria dell’Italia ai mondiali di calcio dell’82, ricompare per la prima volta dalle finestre delle case italiane il tricolore, che per trent’anni era stato nascosto. In Ciampi il sentimento nazionale fu ancora fortemente sostenuto e fu caratteristico del presidente della Repubblica percorrere le strade di tutte le province italiane portando il tricolore come simbolo nazionale. I presidenti cattolici non manifestarono eguale pathos, però ebbero un sentimento analogo: la loro concezione cattolica li portava a pensare alla società italiana come ad un valore antecedente lo Stato.
Per i comunisti la storia d’Italia è una «anti-storia d’Italia», come la definì Fabio Cusin, qualcosa che va redento dal peccato della Controriforma e del fascismo, giudicato dai comunisti come ciò che mostrava il carattere illiberale e anti-democratico della tradizione italiana. Perciò l’initium dei comunisti fu la Costituzione, fondata sulla resistenza.
Napolitano ha seguito questa medesima traccia. Se ha voluto invocare la Nazione italiana e l’amor di patria, lo ha fatto con le parole di un caduto della resistenza. Questa è all’inizio della storia dell’Italia finalmente chiara, illuminata dal concorso della guerra partigiana contro il fascismo. Il dramma del ’900 appare risolto e purificato in questo unico evento. È significativo un altro passaggio del discorso di Napolitano: quello in cui egli fa cenno a Papa Benedetto, ricordando che nella Costituzione italiana sono riconosciuti i fondamentali diritti umani.
Appare chiaro, quindi, che tutto sta nella sostituzione della rivoluzione con la resistenza e la Costituzione, che cioè per Napolitano resistenza e Costituzione sono un initium nel senso forte di Hannah Arendt: un principio di novità, un evento storico che stacca da tutti gli eventi successivi.
Si ripercuote qui la storia del Pci degli anni ’40 e ’50 e il suo lento passaggio dall’ambiguità, che manteneva aperte le due strade della rivoluzione e della Costituzione, alla piena accettazione della Costituzione. Non fu una scelta facile, tant’è vero che nacquero i movimenti extra-parlamentari e infine le Brigate Rosse, vera alternativa alla scelta della Costituzione come contenuto politico proprio del Pci. Non a caso Napolitano ha citato - cosa non più fatta nei discorsi presidenziali degli anni ’90 - la resistenza al terrorismo come pagina fondante della storia della Repubblica. In occasione del terrorismo rosso si era riproposta al comunismo italiano la scelta rivoluzionaria che il Pci aveva respinto.
Appare così evidente che la società, agli occhi di Napolitano, ha il problema della sua compattezza, corre il rischio della frammentazione. Quindi l’obiettivo che il presidente si propone come termine di valore è la parola «coesione sociale». Essa, però, non è un termine di valore, ma un’espressione anodina, che può ritornare sulle bocche dei sindacalisti nelle trattative per i contratti, ma non respira alcuna aria ideale.
L’attenzione di Napolitano si concentra sempre sulla richiesta di collaborazione tra il governo e l’opposizione. Ma, in realtà, questo significa soltanto che l’opposizione deve riconoscere la legittimità di un governo non costruito su una vittoria elettorale effettiva e che invece si impone come se avesse avuto un mandato dagli elettori per riformare la società italiana, riconosciuta colpevole di evasione fiscale e quindi di una radicale mancanza di etica pubblica.
Le richieste che il presidente fa, di una nuova legge elettorale e di un riforma del federalismo costituzionale, sono del tutto omogenee alle posizioni del governo, che intende cambiare la legge elettorale e trattare con la Lega la questione del federalismo.

Napolitano è stato eletto dal centrosinistra ed è stato eletto proprio in quanto rappresentante della storia comunista. Il discorso mostra l’ideale continuità della marcia del Pci verso le istituzioni sino a occuparne il più alto vertice.
bagetbozzo@ragionpolitica.it

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