Perché a Genova è vietato parlare di lavoro?

Perchè a Genova si parla di tutto, ma proprio tutto, compresi convegni sponsorizzati dalle istituzioni sul ricordo di moti di piazza e addirittura omaggi nel «giardino dei Giusti» ad un tizio che è morto tragicamente mentre stava lanciando un estintore contro una camionetta dei carabinieri, e invece manca drammaticamente qualsiasi analisi del mercato del lavoro?
Perchè - in una città dove la prima priorità dell’assessore alla cultura Ranieri pare essere la moschea - parlare dell’articolo 18, di un mercato che sia tale - nel quale, ad esempio, si parli di costruire navi solo se ci sono ordini di navi e non «a prescindere» - del fatto che per un imprenditore è più facile divorziare dalla moglie che da uno dei propri dipendenti, è vietato? Perchè è proibito spiegare che una riforma epocale del mercato del lavoro che permetterebbe di assumere, applicata fra l’altro solo ai nuovi contratti, proposta da un senatore del Pd come Pietro Ichino, non è macelleria sociale, ma il suo esatto contrario?
In una parola, perchè nessuno ha il coraggio di prendere la parola per dire che lottiamo per la libertà di assumere e non per quella di licenziare? Qui, a mio parere, sta il centro di ogni politica liberale, di ripresa e di sviluppo. Eppure, ribadisco, a Genova - capitale mondiale dei convegni, almeno a giudicare dal numero di annunci che si ammonticchiano ogni giorno sul mio tavolo e delle chiamate di uffici stampa che sponsorizzano gli incontri più incredibili - a nessuno è mai venuto in mente di parlare seriamente di mercato del lavoro.
Ci vuole coraggio, certo. È il discorso più difficile e coraggioso da fare. Ed è un discorso da riformisti veri, non autodichiaratisi tali, come invece abbondano in questa città. Così come abbondano i «liberali», gli «imprenditori di centrodestra», gli uomini della «discontinuità» e quelli del «rinnovamento». Peccato che lo siano tutti per autocertificazione.
E allora mi rivolgo, come al solito, a chi è aperto anche ad altre culture.

A chi, come Luca Borzani, che ringrazio pubblicamente, ha subito accolto al volo il mio invito per invitare a parlare di scuola anche un prof-scrittore cattolico (o, almeno, dai valori cattolici) come Alessandro D’Avenia. (...)

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