Perché i tecnici non vogliono Snam-Terna

Chi si compra Snam? La rete dei tubi del gas fa gola a molti. La storia in sintesi è la seguente. L’Eni, che oggi ha la maggioranza, deve cedere la sua partecipazione. È previsto dal decreto sulle liberalizzazioni del governo Monti. Il cane a sei zampe, nonostante oggi non possa che fare buon viso a cattivo gioco, per anni si è tenuto stretto i tubi. D’altronde ha fatto il suo mestiere. Non si può chiedere al tacchino di anticipare il giorno del ringraziamento. I tubi del gas valgono 12,3 miliardi, hanno un fatturato da 3,6 (di cui 2,6 sono il margine), e il titolo ha reso negli ultimi cinque anni il 6 per cento solo come dividendi. È chiaro che se si dovesse fare un’asta pubblica correrebbero in molti. Ma così non sarà.
Nei prossimi giorni il governo dovrà stabilire le modalità di vendita. È il boccone più grosso che hanno le banche d’affari in Italia per i prossimi mesi. Manna in un periodo di crisi come questo: commissioni e gratifiche. Non c’è banca d’affari che non abbia presentato al Tesoro il suo articolato progetto. Ieri è stato il turno (secondo quanto risulta alla Zuppa) di Citi che in otto agili paginette spiega come si debba coinvolgere un fondo sovrano (anche se non lo scrive, il nome e cognome è quello del Qatar). Ma ci ritorniamo tra poco. Ebbene, le soluzioni (con numerose varianti) sono due. La Snam se la pappa la Terna di Cattaneo. È la strada più semplice. Terna (era la corrispondente della Snam per l’Enel, e cioè la rete di infrastrutture elettriche) avrebbe in casa i quattrini per fare l’acquisizione. O diciamo meglio. Dei 3,8 miliardi necessari, solo per un terzo si indebiterebbe. L’operazione (unire reti del gas con quelle elettriche) ha un precedente illustre in Gran Bretagna. E Terna ha dimostrato negli ultimi anni di creare valore per i suoi azionisti e di avere una buona capacità di investimento. Un terzo del capitale di Terna è della Cassa depositi e prestiti, il resto è di investitori istituzionali e dei piccoli risparmiatori. A favore di Terna si muovono le anime liberali (ma non troppo, altrimenti si farebbe un’asta pubblica e che vinca il migliore anche se russo o arabo) del Parlamento: in modo bipartisan, da Enrico Letta a Stefano Saglia. I giornaloni (dal Sole alla Repubblica) sono per Terna e pure gli stranieri (Ft) sembrano strizzare l’occhio a Cattaneo.
Ma le cose non sono così semplici. Al Tesoro (Grilli) e allo Sviluppo economico (Passera) pensano a tutt’altro. Proprio a quella Cdp che è azionista di Terna, ma anche di Eni. Sarebbe la Cassa a comprarsi Snam e ad affiancarla alle altre sue partecipazioni, creando una sorta di holding delle reti in Italia. Il problema è che non ha i quattrini in casa e dovrebbe fare complicate operazioni finanziarie per tirar sù le risorse. Ieri, Citi, ha presentato un progetto che potrebbe alleviare l’esborso. In sintesi si costituirebbe una nuova società (un Spv, un veicolo speciale), partecipata al 51% da Cdp e per il resto da un fondo sovrano, che rileverebbe il 30 per cento di Snam. L’Spv si potrebbe inoltre indebitare per fare l’operazione e, dunque, l’esborso della Cassa sarebbe inferiore anche agli 1,9 miliardi di sua stretta competenza. Scrive Citi: «I fondi sovrani sono molto sensibili al tema della riservatezza: non vogliono che i loro nomi siano menzionati quali potenziali partner». È facile anche comprenderlo.
Immaginate un fondo come quello del Qatar in Snam, che è stata scissa da Eni per motivi di antitrust. Si riporterebbe dalla finestra, un produttore che è stato cacciato dalla porta.
Ma allora perché tanto trambusto? Qual è il motivo per il quale Tesoro e Sviluppo economico non adottano la strada più semplice? I motivi economici (Terna dopo la costosa acquisizione non avrebbe i soldi per fare gli investimenti necessari) vanno in secondo piano rispetto a quelli di governance (per dirla bene). Il governo non si fida di Cattaneo.


Ritiene che il numero uno di Terna (e in prospettiva proprietario anche di Snam) sia poco sensibile ai richiami del suo azionista principale, che è appunto Cdp-Tesoro. In questi ultimi anni Cattaneo ha fatto bene, ma da solo; considerando l’azionista, come dice un manager che è vicino alla partita, «come un soprammobile». E tutto ciò, evidentemente, non garba anche ai tecnici.

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