Francesco Damato
Il ricordo degli attacchi ricevuti come autrice, con Giorgio Napolitano, delle norme che hanno disciplinato limmigrazione prima della legge che porta i nomi di Umberto Bossi e di Gianfranco Fini, non ha impedito al neo ministro della Sanità Livia Turco, dalemiana doc, di spendere parole di apprezzamento per il leader della Lega proposto alla carica di senatore a vita dal giornale del Carroccio, la Padania.
«Non mi scandalizzo», ha detto lesponente della Quercia dissentendo dalla maggior parte delle dure reazioni levatesi dallinterno del suo schieramento. Ed ha riconosciuto a Bossi «lautenticità, laver contribuito a suo modo allinnovazione del Paese e anche la lealtà: dote - ha aggiunto la Turco - che ha in comune con Roberto Maroni, al quale consegnai un ministero degli Affari sociali che lui chiamò gioiellino». Non solo Bossi, quindi, ma anche Maroni si è guadagnato un riconoscimento dalla Turco, che fra qualche settimana o mese scoprirà forse il lato buono anche di due ex ministri leghisti come Castelli e Calderoli, a lungo presentati dalla sinistra come sfasciacarrozze, o quasi. Il primo ha avuto il torto di tenere testa da Guardasigilli alla potente corporazione giudiziaria, laltro di avere ereditato da Bossi e portato allapprovazione parlamentare la riforma costituzionale del federalismo e del premierato, prima di sfidare in televisione il fanatismo islamico con quella maglietta che in effetti poteva risparmiarsi, essendone prevedibili le strumentalizzazioni.
La Turco si è talmente spesa a favore del laticlavio a Bossi da difenderlo dai danni che potrebbero paradossalmente derivargliene. «Bossi - ha spiegato il ministro al Corriere della Sera - nonostante la malattia è un leader politico. Nominarlo senatore a vita vorrebbe dire sì riconoscergli meriti e onorificarlo, ma anche negare la sua leadership», che verrebbe in qualche modo archiviata o sterilizzata, anche se i senatori a vita, a dire il vero, sono stati appena restituiti dal governo di Romano Prodi ad un ruolo che più attivo non poteva risultare, dato il contributo da essi fornito al decollo della sua asfittica maggioranza a Palazzo Madama.
Gli elogi della Turco a Bossi e a Maroni si aggiungono alle distanze che alcuni suoi compagni di partito hanno recentemente preso dai più esagitati promotori del referendum del 25 giugno sulla riforma costituzionale tenacemente voluta dalla Lega. «Noi al referendum votiamo contro, ma non parliamo di colpo di Stato», ha spiegato Augusto Barbera, firmatario con altri costituzionalisti di area diessina di un manifesto nel quale si sostiene in pratica che la riforma leghista va bocciata solo per farne poi unaltra, daccordo anche con la Lega, in grado di raggiungere meglio gli obiettivi condivisibili dellaumento delle autonomie locali, del rafforzamento dei poteri del presidente del Consiglio e del superamento del bicameralismo.
Siamo al solito gioco di un certo massimalismo che rifiuta il buono, o il meglio, per inseguire lottimo.
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