Ugo Riva è uno dei nostri migliori scultori. Ma non gli basta. E vuole allora dimostrare che l'arte sacra non è morta, che una maternità è pur sempre una Natività, e che i valori cristiani sono centrali. Così va oltre l'umano, e carica le sue forme di significati simbolici, con orpelli e apparati che le trasfigurano e le appesantiscono. Più che a Nicola Pisano sembra guardare a Gustave Moreau e ai preraffaelliti, in una continua concreazione e rigenerazione dalla natura all'uomo e al suo destino. La serie di sue belle sculture sulla maternità indica un inizio, un'alba della vita, una condizione originaria che vale per ogni individuo e per il destino del mondo. Così la consacra, in troni e templi che trapiantano la natura nella storia. Nascere è assoluto, ma si cala in un tempo che non è solo quello della nostra vita, ma del mondo, e del nostro Dio, o della nostra religione. È natura, ed è storia, ed è anche la celebrazione del divino. Occorrono fasti e artifizi per dare degno rilievo e risalto al momento della nascita.
Non finiamo di nascere. È sempre più corta la distanza tra la vita e la morte. Siamo nati da poco, abbiamo nella memoria la nostra infanzia presente e viva. Abbiamo gli acciacchi, i limiti, le ferite di chi ha perso la madre. Si finisce di essere giovani, non si finisce di essere bambini. Moriremo senza essere mai diventati adulti. Il bambino che è in noi si manifesta in ogni circostanza: nella felicità, nei disappunti, nei momenti difficili, nella dipendenza dalla madre. Il bambino che è in noi è buono e cattivo come sono buoni e cattivi i bambini; ma quando sbaglia non può sperare di essere perdonato. Il bambino, fragile, può restare impunito. Quando è cresciuto è imperdonabile. È sempre lui, e deve improvvisamente prendere coscienza che non c'è più una madre a difenderlo e a proteggerlo, ma un mondo di bambini cresciuti come lui, che possono essere cattivissimi. Diventare adulti è difficile. Noi siamo i perduti, con la nostalgia dei momenti di perfezione inconsapevoli dell'infanzia.
L'arte esiste per questo: per sospendere il tempo, per farci ritrovare ciò che siamo stati, la condizione di beatitudine. Charles Baudelaire parla di quei momenti di grazia: «Ma il verde paradiso degli amori infantili, le corse, le canzoni, i baci, i mazzi di fiori, i violini che vibrano dietro le colline, con le brocche di vino, di sera, nei boschetti, ma il verde paradiso degli amori infantili, l'innocente paradiso dei piaceri furtivi ormai è più lontano dell'India e della Cina? Possiamo richiamarlo con grida lamentose, e animarlo ancora d'una voce argentina, l'innocente paradiso dei piaceri furtivi?». Nessuno meglio di Baudelaire ha descritto questo stato d'animo, che ognuno di noi ha provato e prova. I poeti, meglio degli altri, lo sentono e lo conoscono. Rimbaud, Pascoli, Rilke, Esenin, Saba, e anche Leopardi. Nati e infanti siamo e resteremo.
Riva ci restituisce a questa condizione con le forme aurorali della natura che esprime la vita. La maternità è la forza prevalente della natura che genera le piante e fa germogliare le gemme e sbocciare i fiori. Sempre un atto di nascita, in cui si esprime la vita, il momento originario. È lo stesso Riva a dire: «Non credo al Caos che si fa ordine e nemmeno a un Dio con nome e cognome. Mi piace pensare a una Grande Anima, pura energia esplosa da un'alfa e un'omega che per ragioni a noi sconosciute ha creato la vita. Una vita che a volte riconosciamo come palpitante solo sotto l'aspetto di carne, ossa, nervi, cuore o foglie, tronchi, radici, ma che invece, al contrario, trasformandosi con la morte non cessa di esistere. Continua, permane, si manifesta attorno a noi sotto altra forma.
Quando si è trattato di sviluppare il tema della sua creazione non ho avuto dubbi nel rappresentarlo come una grande vagina. Sentivo che non poteva essere altrimenti».Da lì nasciamo. Lì, nel nostro inconscio, restiamo. È il Natale.
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