Roma

Persino i rom ce l’hanno con Veltroni

Emanuela Ronzitti

Sarà perché avanza con frenesia la corsa alla nuova tornata elettorale che in queste ultime settimane il clima della politica romana si sta arroventando, tanto da rischiare di far innescare meccanismi malsani, come facili promesse o patti di mera convenienza politica. Il clima di mera incertezza della politica Veltroniana pare sia stato percepito anche dagli oltre 850 rom sfrattati proprio un mese e mezzo fa dall’ex campo di Vicolo Savini, e ora invece collocati all’interno del parco Decima Malafede. Un’area protetta dal Wwf, al ventiduesimo chilometro della Pontina. I rappresentanti della comunità nomade, lo sgombero dello scorso settembre, se lo ricordano - dopo solo trent’anni d’attesa - come repentino senza che all’origine ci sia stato alcun accordo preventivo tra le parti istituzionali e quelle sociali. Uno sfratto coatto talmente veloce da non averlo ancora digerito. A questo malcontento, poi si aggiunge anche l’inconsistenza dei patti stretti con la giunta Veltroni, tanto da essere definito da uno dei rappresentanti rom come «un accordo vago quello con il comune», così incerto da spingere i nomadi a correre ai ripari e chiedere il supporto politico anche della destra sociale romana rappresentata da Piergiorgio Benvenuti capogruppo di An alla Provincia. La stessa, che in tutti questi anni, si è battuta per trasferire la comunità altrove chiedendo lo smantellamento di quella che era divenuta una micro cellula del degrado e dell’illegalità, un cancro radicato nel quartiere Marconi. Al ventiduesimo chilometro della Pontina, l’aria che si respira è di nervosismo e paura dell’ennesimo abbandono da parte delle istituzioni capitoline, le stesse che promisero da molti anni di trasferire l’ex campo rom più grande d’Europa all’interno di nuove aree attrezzate e meglio collegate «non di certo in mezzo al fango e ai serpenti - chiosa Feritk uno dei transfughi di vicolo Savini - e all’interno di queste tende umide e abbandonate da tutti. Io prima ero a Roma qui non si può fare nulla, prima uscivo e stavo al centro ora siamo abbandonati e in mezzo ad un strada. Vogliamo case vere, in cemento».
Proprio ieri dall’incontro tra Piergiorgio Benvenuti e i rappresentanti del campo è emerso «l’ennesimo totale disappunto - esordisce il capogruppo di An - in merito alla collocazione del campo» nonché «all’impossibilità di avere un confronto serio tra il sindaco Veltroni e la comunità». L’esponente di An ha poi aggiunto che «una volta accerta la legalità della comunità e il rispetto della legge Bossi-Fini sarebbe meglio distribuirli in piccoli campi più facilmente controllabili». Gli ex stanziali di Vicolo Savini fanno sapere di essere disponibili a dividersi in più comunità collocate all’interno di mini villaggi, purché si raggiunga «un tavolo di discussione tra Comune, Provincia e Regione - sottolineano i nomadi - noi non possiamo tornare nella Bosnia, i soldi del biglietto regalato dal comune per farci tornare in patria non li ha presi nessuno, perché non abbiamo più una patria.

Li si muore di fame e noi vogliamo essere aiutati qui in Italia e vogliamo integrarci».

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