
Tra una manciata di settimane Andy Capp, l’ex (e poi spiegheremo perché «ex») personaggio dei fumetti più politicamente scorretto delle «strisce» di marca anglosassone compirà 68 anni, l’età della pensione, se non fosse che Andy in pensione non ci è andato (e non ci andrà) mai per il semplice fatto che non ha lavorato un solo giorno della sua vita. Così lo aveva voluto il suo geniale creatore, Reg Smythe, e così aveva esordito il 5 agosto 1957 sul «Daly Mirror». Erano tempi in cui si poteva giocare sul nome, Andy Capp (ispirato al termine «handicap», provate a farlo ora...); si potevano bere ogni giorno litri di birra al pub (e anche a casa); si potevano fare complimenti grossolani alle donne del bar; si poteva fumare in continuazione (perfino nei locali pubblici); si poteva maltrattare (pure senza motivo) la moglie dalla mattina alla sera; si poteva giocare a football picchiando impunemente arbitro e avversari (e, se necessario, addirittura i compagni di squadra); si poteva rimanere stravaccati sul divano in attesa di un lavoro che Andy e tutti gli antieroi come lui della working class non volevano (e neppure cercavano). È chiaro che con queste caratteristiche, agli antipodi della cultura buonista mainstream, il disoccupato Capp non poteva che diventare un personaggio cult tra chi ha in uggia la dittatura del pensiero unico. Un successo internazionale trasversale agli usi e costumi di ogni paese che - dopo un primo approccio scettico e con la puzza sotto al naso - finiva puntualmente per essere travolto dal fascino indiscreto del suo cinismo. È accaduto anche in Italia, nonostante il tentativo (un po’ patetico) di addolcire il «cattivismo» di Andy, cambiandogli il nome in «Carlo» (idem per la mitica moglie Flo, ribattezzata «Alice». Ma con la carta di identità edulcorata di «Carlo», la verve di Andy eruttava (e «ruttava» considerate le tante birre tracannate tra una vignetta e l’altra pubblicate sulla «Settimana Enigmistica» ed «Eureka») sempre e comunque. Tutto è andato liscio fino al 2020, l’anno fatidico della Brexit. E allora che avviene la svolta storica: Andy, l’apolitico per antonomasia (astensionista convinto, schifato dai partiti e dal governo, eccetto quando si tratta di incassare l’«assegno di sussistenza», chiamato fascinosamente dalle sue parti «Universal credit») decide di scendere in campo e di schierarsi, a sorpresa, contro l’uscita della Gran Bretagna dall’Europa. E in quel preciso istante che il politicamente corretto prende il sopravvento su Andy Capp (o meglio sui suoi sceneggiatori). Il risultato è sconcertante: l'anima di Andy si snatura, perdendo in tutto o in parte la sua connotazione anti-ideologia woke. E quindi niente più sigaretta; birra in modica quantità; insulti alla moglie ridotti al minimo sindacale (lui, che odiava anche ogni forma di sindacalismo); aggressività smorzata verso arbitro e avversari; zero approcci nei riguardi dell’altro sesso (di body shaming, neppure a parlarne).
Unico filo conduttore tra il promo Andy pre-Brexit e il secondo Capp post-Brexit, il divano di casa dove il nostro eroe continua a dormire con il solito incubo: lavorare. Ora, in procinto del 68esimo compleanno, può tranquillizzarsi: è fuori tempo massimo per un’eventuale assunzione. Sogni d’oro, Andy. E goditi la tua sempiterna «Universal credit».