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Il Giro in Italia: Ullrich terza forza nella tappa contro il tempo

nostro inviato a Piacenza
Un derby d'America. Discovery Channel, settore tv, contro Csc, settore computer. Per un giorno, a diciassette anni dall'ultima volta, anche il Giro parla di sfida a squadre. Una cronometro assembleare, con tutti gli effettivi del team in fila indiana alla massima velocità, per incamerare secondi che avvantaggino il capitano.
Per fortuna, anche se è un derby d'America tra i due squadroni più forti e più potenti del ciclismo mondiale, la partita deve premiare comunque un leader italiano. Da una parte Paolo Savoldelli, che la maglia rosa l'ha già riassaporata nel cronoprologo - dopo il trionfo di dodici mesi fa - ed è a un soffio dal riprendersela, dall'altra invece Ivan Basso, che la maglia rosa la sogna da un anno, dopo averla gustata e poi persa nel disastrato Giro 2005, ma che, soprattutto, vuole averla il 28 maggio, a Milano.
Un testa a testa furibondo, lungo i vialoni pianeggianti tra Piacenza e Cremona. Per la verità non è nemmeno tanto prolungato, perché sono 38 chilometri, come tempo molto meno di un'ora. Eppure basterà per assestare alla classifica nuovi lineamenti e nuove filosofie. Poi si sa come va: tutto sembra scontro diretto Savoldelli-Basso, alla fine magari dovranno entrambi piegarsi ai panzer tedeschi delle T-Mobile, guidati da un Ullrich in fase di ricostruzione, comunque superspecialista del cronometro.
Che dire, bene o male della cronometro a squadre? Il tema fa parte dei dilemmi irrisolti del ciclismo. In sé, ha tutta l'aria di una gara contro natura: quello della biciletta è sport individuale e individualista elevato al cubo. La logica di squadra interviene soltanto come aiuto, come sostegno, come protezione: ma al centro di ogni discorso e di ogni strategia c'è sempre lui, il capitano, il campione. L'uomo solo al comando, l'uomo solo battuto e umiliato. Perché, si chiedono i puristi, un capitano deve invece pagare o guadagnare per colpa o per merito dei compagni?
Nessuno ha una risposta degna e risolutiva. Nella cronosquadre è contenuto un risvolto perverso. Eppure, nonostante queste doverose considerazioni, la prova contro natura mantiene intatto un fascino tutto suo. Nella sua dimensione estetica. Nel suo contributo spettacolare. Nessuno, nemmeno il più ortodosso dei tifosi, può infatti negare che la squadra in fila perfetta, con cambi sincronizzati, con attrezzature avveniristiche, rappresenti un gran bel vedere. Come uno sbarco di superuomini spaziali, al ritmo travolgente dell'alta velocità.
Tenerla o abolirla? I grandi giri perpetrano il dilemma alternando nel proprio tracciato la prova contro natura. Il Tour la propone con molta assiduità (i francesi, pur di creare circo, farebbero correre i ciclisti su un filo sospeso, giocherellando con i birilli), mentre il Giro ha sempre mantenuto una certa diffidenza. Da diciassette anni, infatti, non se ne vedevano (l'ultima fu vinta dalla leggendaria Ariostea). Stavolta, il nuovo capo Angelo Zomegnan l'ha ripescata per siringare in una corsa già ricca di suo un ulteriore elemento di divertimento, ma anche per convincere i vari Basso e i vari Ullrich a non disertare. Entrambi, e con loro Savoldelli, da questo esercizio collettivo possono trarre vantaggio. E lo trarranno, perché è anche un esercizio abbastanza matematico.
Ovviamente, per qualcuno che ci guadagna, c'è sempre qualcuno che ci rimette. Nel caso specifico, ci rimetterà più di tutti il vecchio Simoni, che come formazione a cronometro sembra da lotta per la retrocessione. L'obiettivo, per il trentino, è uno solo: limitare i danni. Due minuti sarebbero accettabili.

Diverso invece il discorso per Cunego: lui è ancora molto acerbo per la cronometro, ma la squadra sembra in grado di fargli un poco da scudo, almeno contro una tramvata irrimediabile (per lui, i due minuti suonerebbero a pesante sconfitta).
Il resto è scritto nelle gambe: mettersi a sessanta orari dopo un giorno di riposo può sempre giocare brutti scherzi. A chi, lo scopriremo quest'oggi. Scopriamolo con una certezza: il Giro comincia davvero.

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