Il petrolio mette nel mirino quota 130

Continua la corsa del greggio, alimentata dal mancato aumento della produzione da parte dell’Opec. Il barile vola a New York fino al nuovo record di 129,60 dollari anche a causa del super euro, tornato vicino a 1,57. Il petroliere Pickens: "Presto prezzi a 150 dollari"

Il petrolio mette nel mirino quota 130

Milano - Il petrolio mette quota 130 nel mirino. L’obiettivo è vicinissimo, e solo per pochi centesimi non è stato centrato ieri: a New York, con un’arrampicata fulminea, i future del Wti si sono portati fino a un massimo di 129,60 dollari il barile, mentre a Londra il Brent ha toccato un nuovo massimo storico a 127,90.

Lo scenario che fa da sfondo ai ripetuti rincari del greggio è il solito. Tra le cause, la debolezza del dollaro. Le ipotesi legate a un taglio dei tassi da parte della Bce stanno naufragando giorno dopo giorno sotto l’effetto delle dichiarazioni in chiave restrittiva da parte di numerosi componenti del board della banca centrale. Ciò aiuta l’euro, tornato ieri a flirtare con la soglia degli 1,57 dollari. L’inflazione, ben oltre il target di riferimento anche in aprile (3,3% contro il 2% della soglia di allarme), resta il pericolo numero uno per Francoforte, ed è difficile immaginare un contenimento del carovita fino a quando le quotazioni del petrolio resteranno su questi livelli. I prezzi alla produzione sono infatti saliti in Germania al ritmo più alto dell’ultimo biennio proprio in conseguenza dei rincari sul fronte energetico.
La corsa senza fine dell’oro nero non va però letta solo in chiave valutaria. Le conseguenze sulle Borse non sono infatti da trascurare. Come era già accaduto la scorsa settimana, anche ieri i listini azionari hanno sofferto l’ascesa del petrolio, mettendo in fila un ribasso dopo l’altro anche alla luce della previsione del petroliere texano T. Boone Pickens, secondo il quale il barile arriverà a 150 dollari entro la fine dell’anno. Londra è così arretrata del 2,3%, Parigi dell’1,6% e Francoforte dell’1,4%, mentre Milano ha lasciato sul terreno l’1,60%. Nel complesso, la capitalizzazione del Vecchio continente è scesa di circa 160 miliardi di euro. Debole anche Wall Street (meno 1,5% il Dow Jones, meno 0,9% il Nasdaq), dove l’interrogativo sulla durata di una crisi già conclamata si alimenta con il crescere dei prezzi del greggio.

Tra gli esperti, le valutazioni sull’andamento futuro del petrolio lasciano poco spazio all’ottimismo. Dopo le voci circolate nel giorni scorsi, l’Opec ha escluso la possibilità di convocare una riunione di emergenza prima del meeting ufficiale di settembre. La scorsa settimana, inoltre, è rimasto ancora una volta inascoltato l’invito ad aumentare la produzione rivolto da George W. Bush all’Arabia Saudita. Ryad si è limitata a far sapere di aver alzato l’output di 300mila barili al giorno solo per compensare le mancate estrazioni di alcuni Paesi del Cartello. Un’iniziativa giudicata dal presidente americano «insufficiente» e non gradita agli stessi «alleati» dell’Opec, Iran in testa.

I Paesi produttori continuano del resto a sostenere che il mercato è ben fornito, indicando nella speculazione e non nella carenza di offerta il motivo principale alla base delle impennate dei prezzi.

Di parere diverso è, tuttavia, il finanziere Warren Buffett: «Non è la speculazione che spinge le quotazioni, ma l’andamento della domanda e dell’offerta», ha detto ieri il miliardario, che sta puntando proprio sul settore dell’energia. «Capisco le società energetiche e non sarei riluttante ad acquistarne una».

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