Più che Iena un raccomandato Ma di talento

di Paolo Giordano

Pif è un raccomandato di talento. Per carità, nulla di male: se lo merita. Suo padre è Maurizio Diliberto, professione regista e un ruolo l'avrà pure avuto nella carriera del figlio che a 26 anni era già assistente di Franco Zeffirelli nella produzione del film Un tè con Mussolini e, due anni dopo, di Marco Tullio Giordana per I cento passi. Ma poco conta: se uno è bravo, e lui lo è, le raccomandazioni non esistono. Pif, ossia Pierfrancesco Diliberto, nato a Palermo il 4 giugno 1972, attualmente fidanzato con Giulia Innocenzi e di conseguenza di una buona parte dell'intellighenzia nostrana, è il personaggio dell'anno, almeno uno dei pochi che sia riuscito a coniugare qualità e quantità, portando soprattutto una cifra nuova. Va bene, sul palco della Leopolda (la convention di Renzi), Pierfrancesco Pif ha attaccato la Bindi e si è appellato a Epifani per cacciare dal Pd il senatore Vladimiro Crisafulli conquistandosi un ruolo di rilievo nel parterre dei rottamatori. Ma la sua statura artistica (almeno per chi non lo valuta con le lenti della politica) dipende da altro.
Ha fatto l'autore tv (dopo aver partecipato a un concorso Mediaset) e poi è diventato inviato delle Iene. Da qui, tanto per capirci, viene il suo soprannome Pif, coniato durante una trasferta di lavoro dal suo «collega» Marco Berry. Nel frattempo, siamo intorno al 2007, Pierfrancesco Pif si è inventato il programma che è diventato la sua consacrazione. Il testimone su Mtv. Un programma che grazie a un taglio particolare, a metà tra l'inchiesta, il reportage e il cabaret, si guadagna l'attenzione del pubblico (non troppo) e dei critici (troppi). Un lavoro lento, progressivo, inarrestabile. Gli serve per guadagnarsi la cosa più difficile per uno che viaggia da solo: la credibilità. Pif è uno credibile. E non solo perché nel maggio 2012 ha pubblicato un racconto che ricordava in qualche modo la morte di Falcone e Borsellino (Sarà stata una fuga di gas, compreso in Dove eravamo di Caracò Editore). Ma perché è riuscito a fare un percorso che a pochi altri è riuscito. Per capirci, se Pif è uomo dell'anno molto dipende dal fatto che il suo film La mafia uccide solo d'estate (del quale è regista e protagonista) sia stato giudicato un capolavoro dal pubblico del Torino Film Festival e il presidente del Senato Pietro Grasso (uno che di mafia se ne intende) lo abbia giudicato come «la migliore opere cinematografica sul tema mafia che abbia mai visto».
Perciò, valutando le fiches di questo quarantunenne discendente del grande scultore neoclassico Bertel Thorvaldsen, ciascuno può facilmente prevedere che Pif sarà uno dei protagonisti del 2014. Creativo. Inarrestabile. Inserito nel giro giusto. Persino Aldo Grasso, uno che non fa sconti quando deve stroncare ma neppure quando elogia, ha scritto che «il suo è un giornalismo d'inchiesta innovativo che ha molta presa sul pubblico più giovane». E Fiorello lo ha ospitato all'EdicolaFiore quasi a consacrarlo.

Due estremi che convergono su di un nome: Pif. Un motivo ci sarà, no?

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