Più democrazia per salvare l'Unione in crisi

Dunque, dopo i francesi, anche gli olandesi hanno detto no alla Carta dell’Unione. E mentre in Francia la percentuale dei cittadini contrari al Trattato è stata del 54 per cento, in Olanda è salita addirittura al 63 per cento. È il diffuso malessere provocato dalla più che decennale crisi economica che attanaglia il Vecchio Continente a impaurire i cittadini europei. Che avvertono l’allargamento dell’Unione ad altri Paesi - l’islamica Turchia, ad esempio, ma fra due anni anche la Romania e la Bulgaria - come una minaccia alle garanzie assicurate sinora dal Welfare. Sicuramente il no avrebbe prevalso anche in Germania, se la Costituzione fosse stata sottoposta a un referendum popolare, invece della ratifica parlamentare. Ciò vuol dire che la famosa «locomotiva» franco-tedesca, che ha storicamente guidato il processo dell’unificazione, non è più in grado di trascinare gli altri «vagoni». Come ha detto lo scrittore croato Pedrag Matvejevic, il «treno europeo rischia di bloccarsi o di deragliare. I suoi conduttori hanno fallito».
Hanno fallito, io credo, soprattutto perché non sono stati in grado di capire le ragioni per cui la stragrande maggioranza dei cittadini europei diffida dell’Europa. E se pure le hanno capite - l’incubo della disoccupazione di massa, la paura dell’estremo liberismo, il timore dell’ingresso di Paesi con tradizioni culturali diverse dalle nostre -, non sono in grado di fornire risposte convincenti alla sindrome antieuropea delle popolazioni europee. Anzi, ho l’impressione che nonostante l’opinione pubblica ritenga non prioritaria la costruzione di un Superstato europeo, le tecnoburocrazie di Bruxelles e di Strasburgo continuino a perseguire la via elitaria dell’unificazione europea. Può diventare veramente democratica - si chiedeva Franco Venturini sul Corsera di giovedì - una costruzione elitaria e tecnocratica quale è l’Europa?
Costruire un’Europa come semplice spazio mercantile non implica necessariamente un coinvolgimento dei suoi popoli. Se invece si ritiene che all’Europa intesa come mercato debba finalmente seguire un’Europa politica, la partecipazione dei cittadini deve rappresentare un obbligo. Non si tratta di «populismo», come direbbe qualche testa pensante con la puzza sotto il naso. È invece questione di democrazia. Non si può avere la pretesa di imporre dall’alto una Carta di valori ai cittadini europei, chiamandoli «passivamente» soltanto a ratificarla con un semplice voto. Sia esso parlamentare o referendario. Le Costituzioni moderne storicamente le ha sempre fatte il popolo. Nel senso che i cittadini sono stati chiamati a partecipare attivamente al processo delle elaborazioni culturali delle Carte costituzionali. Le élite politiche hanno saputo coinvolgere i popoli attraverso la mobilitazione dell’opinione pubblica: giornali, partiti, sindacati, università, organizzazioni professionali e quant’altro. Immaginare oggi una Costituzione senza - o contro - il popolo è una follia.
Affermare che l’Europa è ferita da paure e egoismi, può essere in parte vero. Ma è anche vero che le élite politiche non sono in grado di rassicurare i cittadini. Anzi, il voto francese e olandese è il sintomo della distanza che si va creando tra le classi dirigenti e l’opinione pubblica. E il rischio è che tale distanza, prima o poi, possa tradursi in una «rivolta» contro le stesse élite. Per poterla scongiurare c’è un solo sistema: ampliare la democrazia partecipativa. Se le élite invece mostrano di aver paura della democrazia - rinviando ad esempio quei referendum già programmati - allora sì che la democrazia potrebbe pericolosamente imboccare la via del populismo.


giuseppecantarano@libero.it

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