Cronaca locale

Pianista e scrittore per il «genio» della poesia

In prima mondiale all’ex ospedale Paolo Pini l’opera che ricorda Chlebnikov, amico-nemico di Majakovskij

Matteo Failla

Sul palco della rassegna «Da vicino nessuno è normale», allestita negli spazi dell’ex Ospedale «Paolo Pini» - e organizzata dall’Associazione Olinda con il contributo del Settore Giovani del Comune di Milano - si susseguono quotidianamente i grandi nomi del teatro, della musica e della letteratura.
Questa sera sarà la volta del debutto in prima nazionale del concerto-lettura Con stivali di occhi neri sui fiori del mio cuore, ad opera del pianista Umberto Petrin e del traduttore-scrittore Paolo Nori. Un difficile spettacolo che si immerge nell’universo di Velimir Chlebnikov, poeta, filologo, matematico: un personaggio che i contemporanei chiamavano semplicemente «il genio».
E se già sappiamo quanto Paolo Nori sia legato a questo artista russo, del quale ha parlato nel suo ultimo romanzo «Pancetta» proprio partendo dal famoso necrologio che ne fece Majakovskij, è forse altrettanto interessante vedere quale tipo di rapporto abbia potuto instaurarsi tra un musicista come Umberto Petrin - considerato uno dei migliori pianisti italiani dell’ultima generazione - e un poeta che amava giocare con le parole creando ritmi e sonorità sorprendenti.
Un musicista ed uno scrittore che rendono omaggio a Chlebnikov: qual miglior connubio per un autore che amava la «sonorità» delle parole?
«Mi sono avvicinato alla sua poesia circa 15 anni fa – spiega Umberto Petrin -, affascinato dalle sue poesie; poterne esprimere le sue parole in musica è sempre stato un mio cruccio, che si è potuto tramutare in progetto artistico solo quando ho letto “Pancetta” di Paolo Nori: da quel momento ho capito che avremmo potuto contribuire entrambi a creare uno spettacolo su Chlebnikov. Mi sono messo in contatto con Nori e dopo pochi giorni abbiamo iniziato a lavorare a questo progetto, che ora ci emoziona a tal punto da non vedere l’ora di portarlo agli occhi del pubblico».
Le parole di Chlebnikov sono musica, ritmo: lei che è musicista che rapporto ha instaurato con esse?
«La sua poesia ha risvegliato in me un meccanismo che avevo dentro da tempo, portandomi a comporre sonorità originali che si nutrono di svariate forme musicali e che prendono vita da una base jazz che caratterizza la mia personalità di pianista. Ci sono alcune poesie che sono puro ritmo: le ho lette, le ho ascoltate e ne ho creato una musica che potesse sostenere e valorizzare la lettura di Nori».
Chlebnikov è difficile già di suo, riproporne vita ed opere dev’essere stata un’impresa; anche perché c’è un po’ da sfatare quel mito distorto che ha creato Majakovskij.


«E infatti questo spettacolo è finalmente un atto di giustizia nei confronti di Chlebnikov, visto che Majakovskij ha affermato per un certo periodo di essere un suo discepolo, ma in realtà si è ben presto trasformato in uno spietato censore».

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